Sciltian Gastaldi / Pier Vittorio Tondelli rivisitato

Intervista a Sciltian Gastaldi, Tondelli: scrittore totale. Il racconto degli anni Ottanta fra impegno, camp e controcultura gay, Pendragon, pp. 526, euro 24,00 stampa

Pier Vittorio Tondelli è sempre stato un caso letterario. Sin dagli esordi la sua opera e la sua biografia hanno suscitato roventi polemiche, fuochi incrociati, esaltazioni acritiche e altrettanto acritiche sottovalutazioni. Bollato come autore blasfemo e depravante dalla potente critica cattolica e perbenista, accusato di disimpegno e giovanilismo dai critici di area marxista, confezionato come icona della cultura gay dai movimenti LGBTQ+ ma pure da essi attaccato, il narratore di Correggio è stato oggetto di strattonamenti e appropriazioni indebite, immeritato destino che lo ha seguito anche dopo la scomparsa, poiché pure l’uomo è stato sfacciatamente rivoltato, persino negandone l’omosessualità. Nell’ultimo decennio sono però comparsi più meditati contributi che hanno definito con maggiore equilibrio l’opera tondelliana, recuperandone aspetti negletti o rimossi e collocandola in un’adeguata prospettiva storica. Su questa scia si colloca l’apprezzabile ricerca del docente e saggista Sciltian Gastaldi. Si tratta di uno studio approfondito, un’operazione culturale prima ancora che critico-letteraria, che si propone di “contestare, smantellare in modo scientifico la vulgata dei due ciclopi, la critica cattolica e la critica marxista, che hanno erroneamente visto in Tondelli il cantore del riflusso e del disimpegno, redento al cattolicesimo”.

Gastaldi parte da alcune domande: Quale Tondelli? Il correggino è stato un autore “luridamente blasfemo” (come lo definì un procuratore generale de L’Aquila al processo per vilipendio della religione cattolica riguardante il romanzo Altri libertini) o ispirato dalla grazia di Dio, secondo il processo apologetico della critica cattolica? Tali visioni critiche riescono ad afferrare e restituire il significato più profondo della sua arte? Rendono giustizia al suo pensiero, alla sua identità, al suo ruolo di intellettuale che ha consapevolmente interagito con il suo tempo e con una ben specifica tradizione?

Per cercare le risposte l’autore si affida all’analisi stringente dei testi, a una vasta ed eterogenea bibliografia e alla ricostruzione del dato biografico, condotta anche mediante sopralluoghi negli ambienti tondelliani, la raccolta di testimonianze orali e l’incursione nel “laboratorio dello scrittore”, con lo studio della biblioteca privata di Tondelli. Gastaldi ha però un’altra decisiva freccia al suo arco interpretativo: lo sguardo dell’outsider. Non è uno studioso inquadrato in consorterie accademiche o editoriali, e vanta una formazione culturale di respiro internazionale che gli consente di superare le preclusioni ideologiche, le piccinerie e le approssimazioni di tanta critica nostrana – soprattutto dell’italianistica, imbozzolata in un provincialismo risibilmente fuori epoca –, di affiancare agli strumenti tradizionali (in particolare Bachtin e la semiologia di Eco) congegni interpretativi poco praticati in Italia, come gli studi di genere, l’estetica camp, la Queer Theory, la “letteratura minore” delle analisi di Deleuze e Guattari.

La tesi proposta è che le opere di Tondelli si distinguono in primo luogo per la caratteristica dell’impegno, giocato su diversi livelli: letterario e contenutistico, contro le omologazioni imperanti dei classici e della narrativa consumistica o edificante degli anni Ottanta; linguistico sperimentale, contro il canone delle belle lettere, facendo propria e aggiornando la lezione di Arbasino; culturale, contro il conservatorismo perbenista che avversa ogni controcultura giovanile; politico, in senso non ideologico e soprattutto sociale, contro l’omofobia, l’eteronormatività, l’emarginazione riservata ai reietti. Impegno riscontrabile anche nelle raccolte di articoli giornalistici, che “rappresentano una critica approfondita del costume e dell’edonismo degli anni Ottanta”, Un weekend postmoderno, e L’abbandono (forse l’opera meno considerata, a cui Gastaldi dà adeguato risalto considerandolo “il testo che raccoglie gli spunti più politici di Tondelli”), ed espresso inoltre nella nascita di una “scuola tondelliana” che avrebbe “sdoganato un modo nuovo di fare letteratura, contribuendo allo svecchiamento della produzione letteraria italiana di fine Novecento”, e nell’attività di talent scout con le raccolte di giovani scrittori esordienti “Under 25”. Un impegno, conclude Gastaldi, “post-ideologico e postmoderno”, comunque diverso da quello che aveva caratterizzato la figura dello scrittore engagé incarnata dai vari Calvino, Volponi, Fortini, Pasolini, Arbasino, in quanto i parametri dei modi d’intervento degli intellettuali nel mondo si sono nel tempo modificati.

Nel tratteggiare il lato in ombra dell’opera di questo “alfiere della controcultura”, l’autore ricostruisce “la cornice italiana” entro cui l’uomo e l’artista hanno vissuto e operato, caratterizzata da pudore e omofobia, e rintraccia una novità tematica nei suoi romanzi, la presenza cioè di personaggi omo e transessuali “lontani dal cliché patologico-drammatico”, elemento in sé sufficiente “per riconoscere alle sue opere un impegno sociale, in particolare in chiave anti-omofobica”. Tondelli avrebbe importato dall’America un certo modello di letteratura gay, e sarebbe dunque il primo narratore italiano ad aver rappresentato l’omosessualità in modo non scandalistico o psicopatologico, e in tal modo, grazie al successo di massa che ebbe, sarebbe riuscito a influenzare la successiva produzione letteraria LGBTQ+ italiana.

Diverse pagine sono poi dedicate alla riflessione critica sull’esistenza di una letteratura di genere gay (e LGBTQ+), sull’assunto che l’omosessualità di Tondelli – negata “in modo irrispettoso” da taluni critici e da altri giudicata incidentale – sia elemento centrale della sua opera, così come l’elemento autobiografico (anche in senso artisticamente deleterio, come accade nel romanzo Rimini), quest’ultimo considerato anche come “un autobiografismo di valori e culturale”.

Tra i vari spunti originali di questa ricerca si segnalano la proposta di una nuova interpretazione del romanzo Pao Pao ­– forse il testo che più ha diviso la critica ­– letto come “uno dei più chiari esempi italiani di letteratura camp”, l’indagine sul complesso rapporto con la religione di questo “figlio anomalo del cattolicesimo”, o con Federico Fellini (fonte d’ispirazione non riconosciuta in modo esplicito). A fronte di tutto ciò, per l’autore Tondelli rientra nella categoria degli “scrittori totali”, una sorta di “fratelli minori” degli scrittori enciclopedici categorizzati dal critico statunitense Edward Mendelson, quelli la cui opera abbraccia l’intero spettro sociale e linguistico della propria terra, fa uso di tutti gli stili e convenzioni note ai suoi concittadini, autori insomma quali Joyce, Pynchon e così via.

Insomma, di carne al fuoco in questa rivisitazione dell’uomo, della sua opera e del suo tempo ce n’è parecchia, e questo studio stuzzica in chi già conosce Pier Vittorio Tondelli la voglia di riprenderne in mano i libri per assaporare un rinnovato e più consapevole piacere, in nuovi lettori il desiderio di scoprirlo.


Abbiamo posto alcune domande a Sciltian Gastaldi sul suo libro e sulla figura di Pier Vittorio Tondelli.

Quale ritieni sia il lascito più fecondo di Pier Vittorio Tondelli alla letteratura e alla cultura italiana?

Non farmi pensare troppo, a questa domanda devo risponderti su due piedi: direi l’aver rappresentato, per primo nella letteratura italiana, dei personaggi LGBTQ+ che sono leggeri, divertiti e divertenti. Sono personaggi ora Camp, ora miti e intimistici, che vivono la loro vita e il loro orientamento sessuale con estrema naturalezza. Danno per scontato che si possa amare in tante direzioni diverse. È stato anche un grande autore interclassista, perché fra Altri libertini e Camere separate i suoi personaggi occupano tutte le classi sociali, dai tossici del Postoristoro di Reggio Emilia ai caratteri borghesi che viaggiano per l’Europa in aereo del suo ultimo romanzo: Tondelli illustra un modo di essere gay pienamente post-Stonewall, all’interno di un panorama letterario che, spesso, se presentava un personaggio omosessuale era per raccontarne il dramma, il suicidio, la non accettazione.

Nel libro racconti delle difficoltà incontrate nell’accedere ad alcuni testi di Tondelli conservati nel suo fondo, e nella pubblicazione del tuo lavoro. Cosa si nasconde dietro questi problemi?

È una delle pagine del provincialismo anche culturale italiano. Correggio rimane il piccolo borgo dei tempi tondelliani, o la “piccola città, bastardo posto” di gucciniana memoria: un luogo dove il tempo scorre più lento e il pettegolezzo invece vola. Ancora nel 2022 non marca bene che si celebri il modo in cui Pier Vittorio ha presentato i suoi personaggi allegramente finocchi. Non piace il ricordare che la causa di morte fu l’AIDS. Il fratello dello scrittore, Giulio, e l’ex curatore testamentario, Fulvio Panzeri, ora defunto, hanno inteso proteggere la figura e il profilo di Pier Vittorio operando per omissioni, sottrazioni, silenzi, e selezioni non meritocratiche in favore di chi sosteneva la loro teoria. È stata l’applicazione dell’antico “sopire, troncare, padre molto reverendo, troncare, sopire” di manzoniana memoria, del padre provinciale. Per loro sfortuna io mi sono reso conto di alcune di queste omissioni, a cominciare dalla “depurazione” della biblioteca privata dello scrittore, così com’è stata donata al Comune di Correggio. E le ho riportate nel mio lavoro, anche io con un’attenzione certosina, per rimanere in tema.

Tra gli spunti di riflessione del tuo lavoro c’è il cambiamento della nozione di “impegno”, del modo in cui gli scrittori scelgono di influire sulla società. Credi che oggi si sia rimasti legati ad un modello storicamente sorpassato?

I social network hanno cambiato tutto. Oggi gli scrittori (e anche i non scrittori…) sono sovraesposti sui social. Le loro scritture sono inflazionate. Finisce che tutto questo twittare, postare e commentare crea un rumore mediatico assordante e quando capita che un intellettuale scriva una cosa acuta e intelligente, si rischia di non sentire la sua voce. Coperta dal frastuono di tutti. Sui social, la penso come Umberto Eco. Che per altro fu uno degli alfieri di quel nuovo modo di “essere impegnati” che sarà poi anche di Tondelli, sposando la lezione di Leslie Fiedler sull’importanza del chiudere il divario (closing of the gap) fra la cultura cosiddetta “alta” e quella “bassa” o popolare. Un intervento seminale, che fu esposto alla seriosissima università di Friburgo e poi, non certo a caso, pubblicato su Playboy, mica su una rivista accademica… Era il 1968 ed Eco aveva già pubblicato da 5 anni il suo celeberrimo Diario minimo con all’interno la formidabile “Fenomenologia di Mike Bongiorno”: perfettamente in linea con il postmoderno.

Perché, a tuo avviso, fertili campi di studi come l’estetica camp, i Queer Studies ed altri nuovi strumenti interpretativi sono poco conosciuti e diffusi in Italia?

Perché a Roma ospitiamo dai tempi della falsa donazione di Costantino una teocrazia assoluta chiamata “Stato della Città del Vaticano” che scandisce molto del dibattito culturale e librario. Molto spesso gli ambiti accademici obbediscono a una certa tradizione cattolica e conservatrice per inde ac cadaver, come dicevano i gesuiti.

Avendo studiato e insegnato nelle università nordamericane, quali sono a tuo avviso le maggiori differenze nell’approccio a testi, autori e culture tra la critica nostrana e quella anglosassone?

Beh, in Nord America esiste la meritocrazia, da noi si applica invece il principio di cooptazione. Ho un caro amico che ai tempi dell’università portava, in macchina, tutti i giorni il preside di Facoltà, professore di Diritto costituzionale, a casa sua. Eppure questi abitava dalla parte opposta di Roma rispetto a dove abitava il mio amico. Io, nel massimo della mia ingenuità, mi chiedevo perché lo facesse. Oggi quel mio amico è professore di Diritto costituzionale in una importante università italiana e io ricordo ancora con quale peculiare punteggio all’orale vinse il dottorato, finita la laurea. Lui aveva capito tutto, io proprio nulla. Oh, poi intendiamoci: il mio amico è anche diventato bravissimo nel suo mestiere e per me oggi è un punto di riferimento in temi di diritto, ma è innegabile che abbia cominciato facendo lo chaffeur, più che il costituzionalista.

A tua memoria e conoscenza esistono nella cultura anglosassone casi di “appropriazione indebita” di uno scrittore da parte di una fazione ideologica o religiosa, persino di ricreazione postuma di un’individualità, com’è accaduto da noi per Tondelli?

Mi verrebbe da pensare a William Shakespeare, che forse era in realtà italiano, da parte di una intera nazione… scherzi a parte, ce ne saranno sicuramente stati, ma non li conosco.

Per quali motivazioni consiglieresti a un giovane di leggere Tondelli?

Per il discorso delle tre “D”: è divertente, dirompente e delicato. Divertente come quando fa il verso Camp in Pao Pao all’esercito italiano, o quando mette al centro della scena personaggi improbabili abituati a collocarsi ai margini della società, come in Altri libertini. Dirompente come nella creazione del suo zibaldone Un weekend postmoderno, una delle opere più sottovalutate del Novecento, eppure una delle più grandi e significative. E poi perché è dolce: quando leggi Camere separate e capisci che la misura dell’amore è la perdita dell’amato, c’è dentro tutto, dal Simposio di Platone a Written on the Body di Jeanette Winterson.