Sassoon, poeta, narratore, attivista politico, saggista…

In un mondo percorso da conflitti, arriva finalmente in Italia Memorie di un ufficiale di fanteria di Siegfried Sassoon, pubblicato nel 1930. Poeta, attivista e pacifista, Sassoon denunciò la guerra come volontariamente prolungata dai potenti. L’opera, densa di ironia e critica sociale, narra la sua esperienza nella Grande Guerra attraverso il personaggio di George Sherston, offrendo un ritratto vivido e attuale.

Con l’Ucraina invasa, con Gaza devastata, col Libano in fiamme, la Siria ultima arrivata (tanto per citare i conflitti più popolari al momento, ma non ci sono solo questi), è certo che, nonostante incaute profezie dopo la fine dell’URSS, la storia continua: per niente pacifica e dalle sorti nient’affatto progressive. Sarà fors’anche per questo che inaspettatamente spunta nel panorama dell’editoria italiana un testo che ha atteso a lungo di venire tradotto e stampato da noi. Ci sono voluti solo novantaquattro anni, quelli che ci separano dalla pubblicazione nel Regno Unito di Memoirs of an Infantry Officer, di Siegfried Loraine Sassoon (1886-1967). Sicuramente non molti di voi conoscono questo personaggio, ed è un peccato, perché è un’interessantissima figura di poeta, narratore, attivista politico e saggista, e ce ne sarebbe da dire sui suoi versi e sulle sue frequentazioni artistiche e intellettuali. Amico di Thomas Hardy e William Walton (musicista poco noto in Italia ma di pregio), di Bertrand Russell e Robert Graves, Sassoon era ben inserito nell’élite culturale britannica, ma in questa sede ci interessa più che altro la sua esperienza in quella che, ogni anno che passa, mi sembra sempre più la Madre di Tutte le Guerre del Novecento, giustamente definita la Grande guerra (e anche di quelle attuali, se si pensa che le convulsioni del Medio Oriente risalgono alla spartizione che ne venne fatta proprio dopo la Prima guerra mondiale, al tavolo di pace a Parigi).

Sassoon divenne famoso quando, nel luglio del 1917, mentre la guerra infuriava sul fronte occidentale con morti a migliaia ogni giorno, non rientrò in servizio dopo una convalescenza e inviò al suo ufficiale superiore una lettera, ormai celebre, nella quale dichiarava testualmente:

Rendo questa dichiarazione come atto di volontaria sfida all’autorità militare perché credo che la guerra sia deliberatamente prolungata da chi ha il potere di fermarla.

Il testo arriva sui giornali, viene letto nella Camera dei comuni da un deputato di convinzioni pacifiste, e come ci si può aspettare fa scalpore che ad averlo scritto non sia un obiettore di coscienza, bensì un ufficiale di sua maestà, per di più in servizio in un reparto prestigioso dalla lunga storia, i Royal Welch Fusiliers. Inoltre Sassoon è a tutti gli effetti un eroe di guerra, noto per il suo coraggio ai limiti del suicidio, insignito della Military Cross (una decorazione non da poco, visto che fu concessa anche all’asso della caccia italiana Francesco Baracca e all’immaginifico Gabriele D’Annunzio). Sassoon si salvò dalla corte marziale in quanto venne certificato affetto da quello che allora si chiamava shock da granata, e che oggi gli psichiatri definiscono PTSD, o disordine da stress post-traumatico – una sindrome abbastanza frequente tra i reduci delle guerre, e non sorprende. Fu così che il poeta venne mandato all’ospedale militare di Craiglockhart, dove ebbe l’onore di essere curato dal dottor Rivers, uno dei primi freudiani d’Inghilterra e tra i pionieri nello studio del PTSD. Durante la sua degenza, che fu a ben vedere un escamotage per non dover fucilare un eroe di guerra, Sassoon conobbe un altro combattente ricoverato, Wilfried Owen, brillante poeta, e tra i due nacque un’amicizia che sconfinò nell’amore, dato che erano entrambi gay (se sia stato consumato è ancora oggetto di dibattito tra gli storici).

Sembra un film ma è storia vera, e se uno ripercorre la vita di Sassoon di episodi degni di adattamento cinematografico ne trova diversi, come la relazione con l’aristocratico tedesco Philipp von Hessen-Kassel, una storia d’amore appassionata che si interruppe quando il nobile entrò nell’orbita del partito nazista. Siegfried, nonostante il nome wagneriano, era invece di convinzioni socialiste, e dopo la guerra s’era fatto sostenitore del pacifismo – una traiettoria che ricorda peraltro quella di altri scrittori combattenti.

In ogni caso, la traduzione di Memorie di un ufficiale di fanteria (tr. e cura di Enrico Maria Massucci, Textus Edizioni, pp. 440, euro 28) merita attenzione per diversi motivi. A parte la testimonianza storica da parte di un testimone privilegiato della macelleria industriale scatenatasi tra il 1914 e il 1918, è affascinante il modo in cui Sassoon torna sulle sue esperienze di guerra con ironia tipicamente britannica, prendendo le distanze sia dai sui gesti eroici sia dalla sua ingenua protesta. Tale distacco si manifesta anche per aver pubblicato quella che avrebbe potuto essere un’autobiografia in forma di romanzo: Siegfried racconta la storia di George Sherston, che è lui, sì, ma non proprio lui (per esempio sua madre diventa una zia, i nomi dei personaggi reali sono tutti modificati, alcuni episodi sono omessi, alcune circostanze alterate). Come a dire che lo scrittore, nel 1930, non è più il giovane ufficiale di fanteria idealista e ardito al punto da essere chiamato dai commilitoni Mad Jack. Come dire che il tempo è passato, e col tempo è maturata una consapevolezza più profonda.

L’originale inglese è scritto in una prosa elegante e densa, come ci si può attendere da un poeta di un certo spessore – le poesie di guerra di Sassoon, la sua prima forma di racconto delle sue esperienze in trincea, sono considerate classici e ormai si trovano persino nei libri di testo delle nostre scuole, assieme a quelle di Owen e Isaac Rosenberg (curiosa coincidenza: due dei più famosi war poets britannici sono entrambi di discendenza ebraica – il padre di Sassoon proveniva da una famiglia giudaica originaria di Baghdad). Purtroppo la traduzione di Massucci non sempre riesce a rendere correttamente il senso di alcune frasi e di certi termini legati all’epoca e all’ambiente militare, ma va riconosciuto che per il traduttore non si trattava di un’impresa facile. Lodevole invece l’apparato di note, e l’introduzione al testo, che rende conto della storia di una famiglia che s’intreccia con quella dell’Impero britannico. Preziosa e ben documentata soprattutto la postfazione, che aiuta a porre il romanzo nel suo contesto storico e rende correttamente ragione del motivo per cui esso è stato tanto a lungo ignorato nel Bel Paese.

A rileggere Memorie di un ufficiale di fanteria, si resta affascinati dal contrasto tra due lati della personalità, indubbiamente complessa e contraddittoria, dell’autore: a momenti happy warrior, come si diceva allora, orgoglioso del proprio reparto e delle sue decorazioni, pronto a dare la vita per il re e per la patria; a tratti deluso dal cinismo di quelli restati a casa ad arricchire sulla morte dei soldati, disgustato dall’ignoranza dei civili che niente sanno degli orrori delle trincee e della terra di nessuno, dubbioso sui reali obiettivi dell’Inghilterra nel conflitto (che in effetti erano la difesa dell’impero coloniale e i pozzi di petrolio dell’Iraq, come si vide al tavolo di pace). Questa oscillazione dura per tutto il romanzo, e si ritrova anche nel seguito, perché, ed è il caso di sottolinearlo, Memorie di un ufficiale di fanteria è la parte centrale di una trilogia, preceduta da Memoirs of a Fox-Hunting Man e seguita da Sherston’s Progress. L’opera copre così tutta la vita dell’alter ego di Sassoon dal 1886 al 1918, dall’infanzia solitaria di orfano che vive nella campagna inglese, alla prima giovinezza di cavallerizzo e sportivo, alla guerra, alla conclusione del conflitto (la seconda parte si chiude con la partenza di Sherston per l’ospedale militare di Slateford, in realtà Craiglockhart, quando la guerra ancora macina morte e distruzione). Forse la decisione di partire dal pezzo centrale della trilogia è dovuta al fatto che nel primo romanzo la guerra appare solo alla fine, e gran parte è dedicata all’equitazione, non proprio un argomento molto popolare al giorno d’oggi. Spero comunque che Textus Edizioni si convinca a pubblicare anche le altre due parti, perché le memorie di George Sherston è a ben vedere un unico romanzo autobiografico in tre volumi (e ricorda i ben noti romanzi vittoriani deprecati da Oscar Wilde…), e un’opera che, con i tempi che corrono, sembra tornata decisamente d’attualità.

Last but not least, Sassoon ci porge una sorta di capsula del tempo che conserva un pezzo di un’Inghilterra che forse non esiste più, forse esiste ancora (anche come immaginario), e che resta sempre affascinante, pur con le sue contraddizioni e le sue assurdità. Leggere Memorie di un ufficiale di fanteria è un viaggio nel tempo, perché il libro è una sorta di Downton Abbey con meno melodramma e con gli scheletri tirati fuori dagli armadi: raccomandato quindi per tutti gli anglofili d’Italia.