Un’urgenza anima la scrittura di Annie Ernaux, quella di narrare prima che le cose, i fatti e le persone vengano occultate da un’inevitabile eclissi. La scrittura diviene allora esigenza irrefrenabile, unico luogo di vita possibile. Merito di Sara Durantini aver voluto porre l’attenzione sulla scrittrice prima ancora che le venisse conferito il Nobel, narrando un’esperienza letteraria straordinaria, a prescindere dal prestigioso riconoscimento. La vocazione di Ernaux nasce a fatica, osteggiata dalle convenzioni borghesi e dal becero conservatorismo. Il viaggio verso una conquista definitiva della propria individualità è inevitabilmente gravoso, e si intreccia con le conquiste femminili della seconda metà del Novecento. La tenacia nel perseguire i propri obiettivi le deriva da esempi illustri: Simone de Beauvoir e Virginia Woolf il cui imperativo principe era il considerare una “stanza tutta per sé”, dove poter coltivare la propria individualità nel segno della scrittura.
Durantini confeziona una sorta di biografia che trascende i confini del genere grazie a un’impaginazione del tutto peculiare. Attraverso immagini, ricordi e citazioni, vediamo prendere forma una figura femminile di grande rilievo, ne osserviamo le metamorfosi che la consegnano alla scrittura, intesa come gesto catartico e liberatorio. Pochi come Ernaux hanno saputo conferire prospettive universali al dettato autobiografico. Nelle pieghe di una vita intera, nel contempo soggetto e materia narrativa, percepiamo l’alito prepotente della storia. I riverberi collettivi della memoria personale donano ampio respiro alla sua opera letteraria. Per questo la perdita della memoria della madre, dovuta all’Alzheimer, diviene non solo esorcismo di un dolore personale, ma soprattutto metafora della fragile condizione umana. L’impressione confusa dei primi anni di vita, evocata ad esempio da de Beauvoir in Memorie di una ragazza perbene, si confonde con la progressiva perdita dei ricordi della vecchiaia. Solo la scrittura può fornire la chiave per svelare il mistero che si cela dietro l’apparenza. La diaristica, coltivata da Ernaux per tutta la vita, diviene fulcro di tale ricerca. L’emotività della confessione intima non esula dalla centralità del corpo.
Con un registro del tutto diverso Daniel Pennac, in Storia di un corpo, mise in scena quel groviglio di nervi che è il nostro involucro terreno. Per Ernaux il corpo è simbolo delle costrizioni imposte da una società declinata totalmente al maschile. Nell’Evento l’interruzione di gravidanza nella Francia degli anni Sessanta è un vero e proprio dramma, del quale la donna è vittima. Conclude il volume una intervista: una confessione intima e lontana dai riflettori, nella casa di Cergy dove la scrittrice ha volutamente custodito la propria intimità, consegnandola a un luogo “marginale”, distante dal turbinio e dal fervore parigini. Ne scaturisce il ritratto – pregno di dettagli inediti – di una donna autentica, consapevole della propria forza e per nulla reticente riguardo le proprie debolezze: una scrittrice attenta alla ricerca formale e alla sperimentazione, fiduciosa nel potere salvifico della letteratura. Il volume è arricchito da alcuni acquarelli di Floriana Porta.