Samantha Harvey / Intorno alla terra con amore e splendore

Samantha Harvey, Orbital, tr. Gioia Guerzoni, NN Editore, pp. 176, euro 18,00 stampa, euro 9,99 epub

Quanta poesia, quanto incanto in questo racconto della terra vista dalla stazione spaziale internazionale che le orbita intorno. Nella ISS viaggeranno per sei mesi intorno alla terra sei astronauti, due russi, un italiano, un americano, una giapponese e un’inglese, e noi li seguiamo per 16 orbite, 16 giri intorno alla terra in un tempo che equivale a una nostra giornata, ma che si compone di 16 albe e 16 tramonti per chi viaggia sulla più grande struttura spaziale mai costruita.

È il viaggio che molti sognano, il viaggio che l’umanità ha sempre desiderato e per cui ha lavorato per migliaia di anni. È il viaggio più avventuroso che ci si possa immaginare, e nello stesso tempo il viaggio più statico, più metodico, più routinario, più organizzato che si possa immaginare. Niente può essere lasciato al caso, tutto è estremamente precario. La vita e la morte sono legate da un filo invisibile. La stazione gira e gira intorno alla terra, la cui bellezza, quella che noi che ci stiamo sopra non sappiamo più vedere, arriva al cuore degli astronauti ogni volta che la guardano. E la guardano in continuazione. Senza stancarsi mai. La osservano e la studiano, con gli strumenti e la metodicità della scienza.

Ma la guardano anche con immenso amore. Non solo perché lì sotto stanno i loro affetti, i figli, le mogli, i mariti, i genitori, e là sotto torneranno. Ma soprattutto perché lo sguardo distante e lontano, lo sguardo che vede e non può toccare né intervenire, è uno sguardo consapevole e nostalgico. Gli astronauti vedono la meraviglia e la fragilità del pianeta blu, la sua unicità e solitudine nel cosmo, la sua ricchezza e la sua preziosità. Vedono i danni che noi uomini gli abbiamo inflitto, lo sfruttamento la sporcizia le distruzioni, non li vedono subito ma quando li vedono non possono più ignorarli. Vedono anche tutto quello che è rimasto, gli oceani i ghiacci le foreste. Di notte, vedono le luci con cui gli uomini cercano di domare il buio del cosmo che li circonda. Vedono l’alba con dei colori familiari e indescrivibili, vedono i tramonti. Vedono le nuvole che si spostano, vedono formarsi un tifone che potrebbe devastare intere regioni e per fortuna, senza davvero merito alcuno, si indebolisce da solo. Vedono nascere e morire i giorni nei luoghi che gli sono familiari o che non hanno mai visto, ma della cui esistenza sanno e hanno studiato.

Intanto la vita nella ISS è la riproduzione quanto più esatta possibile della vita sulla terra: le ore di sonno, i pasti, lo studio, il lavoro, l’esercizio fisico, le relazioni. Una volta persi i riferimenti del tempo e dello spazio, bisogna continuare a crearli. Inoltre ogni astronauta è un esperimento: che alterazioni produce, nel fisico e nella mente, essere fuori dall’atmosfera, essere in assenza di gravità, essere chiusi in una bolla d’aria in perenne riciclo? Ogni astronauta è un tentativo di risposta alla grande domanda, se sapremmo vivere altrove o se la terra è davvero l’unico posto dove possiamo stare. A cui si aggancia un’altra domanda ancora più sconvolgente: se la terra è l’unico posto dove possiamo stare, perché la stiamo distruggendo?

Con la stessa delicatezza e poesia con cui racconta la terra vista dal cosmo, Samantha Harvey ci guida nei pensieri degli astronauti. Che hanno lavorato anni e anni per essere pronti a lanciarsi nello spazio. Che sanno i rischi che stanno correndo, e come quella permanenza nello spazio accorcerà il loro tempo di vita, consumerà più rapidamente il loro corpo e i loro organi. Che si dedicano con concentrazione e costanza sia alle ricerche che stanno conducendo sia alla routine che hanno costruito nella loro giornata. Che sono eccezionalmente forti ed equilibrati e ben centrati e determinati e motivati e sereni, ma anche terribilmente umani e terreni: pensano ai figli, alle mogli amate o non più, ai genitori; cercano il cibo che conoscono e di cui la versione disidratata è solo una pallida imitazione; conservano le loro identità nazionali, le convinzioni e i pregiudizi, e nello stesso tempo fanno amicizia, si confidano, si aiutano. Che stanno cambiando man mano che la vita scorre nella stazione: con la sua evocazione del mare e della piccolezza, ci dice l’isolamento, l’abbandono a un elemento che non conosciamo e non domineremo mai.

Chiusi nella loro arca, vicinissimi tra loro e lontanissimi dal passato e dal futuro, i sei astronauti cominciano a sentirci come un solo corpo, di cui ciascuno rappresenta una parte: Pietro la mente, Anton il cuore, Roman le mani, Chie la coscienza, Shaun l’anima e Nell il respiro. E con quel corpo esprimono il rapporto che ognuno di noi, alla fin fine, ha con la terra: un grande amore che la lontananza acuisce, un desiderio di possesso e di appartenenza che non può essere realizzato, la consapevolezza della brevità e dell’effimerità della nostra presenza. Alla fine della lettura l’immensità dello spazio resta un enigma, il cosmo resta spaventoso e affascinante, lo spazio resta lontano e irraggiungibile; ma le orbite che abbiamo compiuto con gli astronauti, la bellezza che abbiamo contemplato sul pianeta blu, l’incanto con cui abbiamo osservato la terra su cui stiamo, quelli restano con noi per sempre.

Romanzo vincitore del Booker Prize 2024