Salvatore Ritrovato / Dall’America a Fortini

Salvatore Ritrovato, La circonferenza della vita, Marcos y Marcos, pp. 112, euro 19,00 stampa

All’ultima raccolta di Salvatore Ritrovato – L’angolo ospitale (La Vita Felice, 2013) – sono seguite alcune intense plaquette, tra cui Cercando l’isola (Fiorina, 2017) e L’anima o niente (Il Vicolo, 2020), che hanno dato l’impressione di un percorso lirico stilisticamente compatto e, al contempo, tematicamente policromo. Se L’anima o niente si configurava come un canzoniere-xenion dedicato all’alterità femminile nell’antinomica filigrana di Midons provenzale e fallibile creatura, Cercando l’isola appariva più sbilanciata sulla metafora stevensoniano-sabiana della navigatio vitae, persino nella costruzione materiale del testo (un leporello assai suggestivo). La coesione poetica andava ravvisata, appunto, nei mantra tipici della scrittura di Ritrovato: tendenza a una dizione distesa – spesso tramite l’ausilio degli alessandrini, cioè settenari doppi – che diviene timbricamente dialogo pacato, tentazione del monostrofismo (come il primo Magrelli e l’ultimo De Angelis), rapida volée da pretesti quotidiani e minimalisti a interrogazioni intorno all’umana natura, compresenza di sacro e profano, di riferimenti socioculturali disparati, messi in rapporto all’esperienza di un soggetto sempre più ampio, un “noi dentro l’io”. Ecco, La circonferenza della vita (titolo che assomma in sé le direttive programmatiche appena esposte, anche grazie all’envers du décor di una montaliana escatologia scatologica), uscita nella collana “Le Ali” diretta da Fabio Pusterla, riesce a sintetizzare magnificamente il percorso intrapreso e a offrire nuove linee di sviluppo.

Divisa in quattro sezioni (Ultime, Salire gli anni, Epidrammi, Visioni postume e provvisorie), con una poesia proemiale, È umida la luce dell’autunno, e un congedo, Sentimento dell’alba (libera traduzione di un passo di Sidonio Apollinare, dal Panegirico ad Antemio), la silloge si presenta quale bilancio esistenziale trasformato dalla poesia (“resisterà […] alla civiltà in declino?”) in saggezza robusta, talora periclitante, sempre aperta a un ulteriore affinamento: “In questa poesia piovuta come un raggio di sole / sulla terra l’amore somiglia a una pianta: / se non gli dài acqua quando serve, si spegne in un deserto. […] / Anche in un giorno nuvolo come questo / c’è un velo di luce che la incanta” (Cercando l’ispirazione). In un clima storico da “fine dell’Impero” e da pensiero debole il poeta, che “abita sempre nella casa degli occhi di una donna”, tenta di fondare au contraire, pur con qualche sobbalzo, il suo spazio interiore su valori forti, come l’amicizia (moltissime sono le liriche in dedica, perché “l’amicizia è come una casa e ha bisogno di mattoni”), l’amore, gli affetti familiari, la cordialità tra colleghi, la ricerca di una trascendenza, ad esempio attraverso una dimessa occhiata di compassione: “Una volta, uscendo dal bar, mi fermai davanti a lei. / Paziente accesi il sigaro, ma cercavo / ancora, dietro ere sospese, il suo sorriso. / Centrai il suo sguardo nel quale spensi il mio” (Ballata, girando l’angolo, preceduta da uno stralcio di The Ghost of Tom Joad di Bruce Springsteen).

I legami intertestuali, ampi particolarmente per la tradizione post-ermetica sotto la cui egida Ritrovato pone la sua lezione (Volponi, Sereni, Caproni e specialmente Fortini, impossibile non coglierne l’ammicco in Traducendo Verlaine), si nutrono più in generale di un’idea di poesia che ha qualche consonanza con l’oggettivismo e il post-oggettivismo americano, da William Carlos Williams a Charles Simic, passando per Raymond Carver e Mark Strand: si pensi ai testi contigui I piatti sporchi e I piedi freddi (in tale direzione pure Caduta rami e Vecchia Jaguar), i quali da un esterno situazionalista passano rapidamente a un interno essenzialista – la pulizia o la congestione dell’anima –, capace di incartocchiarsi come la “pagina strappata di un quaderno” e additare quel present continuous che necessariamente include nel suo scheletro formale uno smagato cenno di futuro e speranza, oltre l’ethos e il suo sardonico contraltare. Qui il canto – se davvero “la poesia è un ponte” – si innalza, abbandonando saggiamente, cinicamente anche la stessa saggezza per farsi completa recettività: “Tante parole che mi venivano per strada / o controvento, le ho perse non so dove. / Ma che importa? Ai tuoi occhi l’invisibile è essenziale / e la libertà di non amarti o dimenticarti / valeva la pena di creare anche il male. / E così prego, la voce che mi esce è il tuo silenzio” (Tornando da Loreto).