C’è un innegabile magnetismo, nel tessuto della scrittura di Sally Rooney, capace di rendere i suoi romanzi universali, apprezzati a qualunque età, e insieme divisivi, oggetto di critiche feroci. Forse perché Rooney ha riportato alla ribalta in Italia un certo tipo di letteratura incentrata su sentimenti e relazioni, senza darsi pena di fingere altrimenti, e soprattutto senza nessuna intenzione di lasciarsi relegare ad autrice di secondo ordine per questo. A mio parere, è soprattutto la sua maestria nell’indagare la nostra difficoltà a comunicare efficacemente a determinare l’incredibile successo dei suoi libri.
Nella nuova uscita, Intermezzo, pubblicata anch’essa da Einaudi nella traduzione di Norman Gobetti, al centro della scena ci sono i fratelli Koubek, da poco diventati orfani di padre. Peter, il maggiore, è un avvocato trentaduenne, carismatico e affascinante; Ivan ha dieci anni in meno ed è un campione degli scacchi, abituato a percepirsi fuori posto nei contesti sociali. Per motivi e in modalità differenti, entrambi hanno evitato di affrontare il lutto, rigettando il dolore e la sensazione di aver perso un pezzo di sé. Vengono raccontate in parallelo le esistenze di entrambi, mentre sopraggiungono capovolgimenti nella loro vita privata ed è approfondito il loro legame conflittuale, fatto di sofferenze passate mai chiarite, equivoci e frustrazione costante.
Ancora una volta, Rooney dimostra la sua curiosità nell’esplorare i rapporti sentimentali nell’epoca contemporanea. Da una parte, Peter si ritrova diviso tra l’amore per Sylvia, che lo ha lasciato dopo un grave incidente e il successivo peggioramento delle condizioni fisiche di lei, e l’attrazione per Naomi, di dieci anni più giovane, avvezza ad abitare un mondo precario e fluido. Dall’altra, invece, Ivan ha un colpo di fulmine per Margaret, una donna separata più grande di lui. Due dinamiche – love triangle e age gap, a voler usare due celebri trope – già presenti nell’esordio di Rooney, Parlarne tra amici, qui intrecciate alle vicende di una famiglia a suo modo disfunzionale e alla presa di coscienza del lutto.
I fratelli Koubek avvertono lo stesso spaesamento. Vengono distratti dal rumore della quotidianità, dal pungolare del desiderio e dal bisogno di essere capiti, eppure s’insinua, sottile, il peso di un’assenza. Per Ivan, ad esempio, la gioia per il tempo trascorso con Margaret è mescolata a «tristezza, lutto per suo padre, e una sorta di vergogna, perché ogni giorno che passava sembrava allontanarlo sempre più da lui e dalla vita che facevano insieme, una vita che stava sprofondando nel passato, nel mondo dell’infanzia e dell’adolescenza. La consapevolezza che l’età adulta, in cui ormai stava definitivamente entrando, e che sarebbe durata per il resto della sua vita, l’avrebbe trascorsa senza suo padre. Che stava diventando una persona che suo padre non avrebbe mai conosciuto».
Da qui, allora, la necessità di scovare un senso, di individuare una logica nella complessità delle emozioni: nel caso di Peter, la coesistenza di due diverse forme d’amore dentro di sé, malgrado i tentativi di incasellare il suo legame con Sylvia e Naomi nei rigidi schemi delle relazioni monogame; in quello di Ivan, l’arrivo di una persona in grado di abbattere la sua solitudine, di farlo sentire un ragazzo normale. Il sesso, come sempre nei testi di Rooney, si fa spazio di espressione di vulnerabilità, dipendenza, paura di essere odiati o ignorati, anche se non è sufficiente a districare fraintendimenti e mezze verità. Rooney differenzia i fratelli sia nel carattere sia nello stile narrativo (il periodare ha un andamento spezzato e schematico nei capitoli dedicati al maggiore, mentre è più ampio in quelli su Ivan e Margaret), la conclusione però non può che essere la stessa, l’accettazione della mancanza di significato, o almeno di un unico significato: «E se la vita fosse solo un susseguirsi di esperienze scollegate tra loro? Perché a una cosa dovrebbe conseguirne un’altra in un modo dotato di senso?».