Con pochissimi (intenzionalmente) elementi a disposizione, Rumaan Alam, nativo del Bangladesh e naturalizzato americano, compie due miracoli: uno, ti incolla alle pagine – fatto non da poco, data la miriade di romanzi noiosi che girano – e due, il climax di costruzione, tutto giocato su un’aspettativa di eventi intorno ai quali abbiamo pochissimi indizi, dura senza barcollamenti quasi sino alla fine del libro.
Dunque, evitando di spoilerare il meno possibile, ci sono due coppie protagoniste: Amanda e Clay, giovani con figli adolescenti, e i più attempati George e Ruth. I primi decidono di concedersi qualche giorno di vacanza in un’isolata villa affittata in un angolo remoto di Long Island, e i secondi sono i proprietari dei muri che si presentano alla porta di casa inaspettatamente e nottetempo, sulle prime neppure troppo graditi, più che turbati da quel che c’è “di fuori”, che è appunto misterioso e perturbante.
Quel poco che Alam ci snocciola è comunque a sufficienza inquietante: a quel che si capisce, gli animali qualcosa ne sanno, i cervi migrano in massa, New York è colpita da un black out e mezzi di comunicazione (TV, cellulari, Internet, tutti) smettono di funzionare. Compirei un peccato mortale se proseguissi a raccontare quel che avviene, ma certo si può dire che con sopraffina abilità Alam circoscrive la montante Apocalisse – perché è di questo che si parla – a un dato percettivo individuale in grado di modificarsi e vacillare a seconda del soggetto. Così che sul serio la realtà diventa un incubo frastagliato nel quale, se poco realmente accade nelle immediate vicinanze dei personaggi, ben diversa e spaventosa si configura l’ipotesi planetaria.
Il mondo dietro di te (traduzione efficacemente infedele di Leave the World Behind), pur presentandosi come una novità nel “genere”, al punto di trascenderlo, mette comunque in mostra elementi tipici dello stesso, alimentando il nostro storico sospetto che il gotico contemporaneo sia una delle migliori chiavi di accesso al reale (se non la chiave): il bosco dietro la casa con al suo interno un’altra misteriosa casa, lo spaventoso rumore che resta ancora nell’aria anche quando finisce, il nulla di sopra e di sotto al posto del traffico automobilistico e aereo.
Colpiscono in questa epifania della Fine la minuziosa elencazione di tantissima “merce” – soprattutto alimentare – in totale contrasto con la futuribile carestia e la funzionale pletora di dialoghi fitti e coinvolgenti tra le due coppie di adulti – mai troppe parole in ogni caso –, mentre i ragazzi parlano di meno e agiscono di più, andando addirittura a esplorare il bosco che è veramente minaccioso, così come hanno fatto prima di loro altri bambini in altre epoche.
La prosa di Alam è elegantissima e essenziale, ben supportata dall’eccellente traduzione di Tiziana Lo Porto, e se il libro fosse un film, non avrei dubbi a individuarne il regista in quel raffinato poeta dell’horror vacui in levare che si chiama M. Night Shyamalan, soprattutto riferendomi alla prima parte di E venne il giorno. Al proposito non tradisco alcuna consegna – perché sta scritto nella terza di copertina – se anticipo che già Netflix ne sta girando un film con Denzel Washington e Julia Roberts, e sulla scelta attoriale del protagonista maschile è stato seguito alla lettera il consiglio di Alam, che fa pronunciare ad Amanda la frase rivolta a George (pag. 181): “Sa, lei somiglia un po’ a Denzel Washington”. Tutto prevedibile o previsto? Niente affatto, perché come leggiamo a pag. 168, “tutto quello che Ruth aveva – per spiegare quel che sta accadendo – erano i film hollywoodiani”. È l’impasto dis-percettivo in cui viviamo oggi, sballottati tra una pandemia neppure immaginabile: dalla fantasia del più sfrenato sceneggiatore a un collettivo tentativo di normalizzazione, che ancora non ci fa capire se “il mondo dietro di noi” sia purtroppo finito per sempre.