Alexandre Dumas, I Mille e un Fantasma, Robin Edizioni, pp. 275, euro 16,00 stampa
Pubblicato in due tomi nel 1849 (insieme all’altro grande classico che il creatore dei Tre Moschettieri e del Conte di Montecristo dedica al soprannaturale, La Femme au collier de velours), la silloge di ghost-stories dumasiane Les Mille et Un Fantomes, citando esplicitamente Le mille e una notte già reso famoso nel ‘700 nella traduzione francese di Antoine Galland, va a situarsi degnamente nel numero delle compilazioni romantiche di storie di spettri, demoni e vampiri, a fianco della celeberrima Fantasmagoriana (1816), tradotta dal tedesco da Jean-Baptiste Benoit Eyriés (la cui lettura, come tutti sanno, ispirò il gioco letterario di Villa Deodati tra Mary Shelley, Lord Byron, e William Polidori, che portò alla stesura del Frankenstein e del The Vampire) e delle altre successive e meno famose come la Spectriana di J.P.R. Cuisin (1817), la Démoniana di Gabrielle de Paban (1820) e l’Infernaliana (1822) di Charles Nodier (non a caso quest’ultimo sarà scelto da Dumas come narratore, insieme a E.T.A. Hoffmann che ne sarà protagonista, del romanzo che accompagnava la raccolta, La donna dal collier di velluto).
L’ottima collana Biblioteca del Vascello della Robin Edizioni ha pubblicato una pregevole edizione – impreziosita da una lunga e dettagliata introduzione di Marco Catucci, ricca di illustrazioni – che, escludendo il già noto romanzo, permette di fruire nella loro completezza di queste storie raccapriccianti incastonate in una cornice apparentemente bonaria e rassicurante. Lo stesso Dumas in prima persona, deluso dalle esperienze del 1848, si ritrae più giovane di 18 anni, nel 1831, durante una battuta di caccia a Fontenay-aux-Roses, mentre si allontana dal gruppo dei compagni cacciatori ed è casualmente testimone di un uxoricidio per decapitazione (con risvolti ovviamente soprannaturali), firma la propria testimonianza di fronte alle autorità alle quali l’assassino, terrorizzato, spontaneamente si consegna, ed è poi invitato dal sindaco della cittadina, Monsieur Ledru – personaggio realmente esistito, ma che si chiamava Jacques Philippe e non Jean-Pierre, come puntualizza Catucci – nella sua casa, un tempo dimora estiva dello scrittore Paul Scarron – anche questa assolutamente reale – dove un’allegra e bizzarra compagnia composta da Alexandre Lenoir (altro personaggio storico fondatore del Museo dei Monumenti francesi), dall’occultista Jean-Baptiste Aliette (detto Etteilla), da una dama polacca e da un abate martinista, si intrattiene fino alla mezzanotte narrando storie terrorizzanti di decapitati, spettri, demoni e vampiri.
I brogliacci da cui Dumas trasse i suoi racconti del terrore gli furono forniti – come di nuovo precisa un’ulteriore postfazione di Catucci – da Paul Lacroix (1806-1884), detto le bibliophile Jacob, erudito, bibliofilo e poligrafo, amico e collaboratore di Dumas per vari romanzi (ma la collaborazione si interruppe perché Dumas era sempre in ritardo coi pagamenti…). Le storie più interessanti che il bibliophile trasmette al romanziere – come anche la trama de La Donna dal collier di velluto, che Lacroix passò a Dumas mutuandola dalla rielaborazione del breve racconto «The Adventure of a German Student» di Washington Irving – hanno tutte a che vedere con le teste tagliate, con i ghigliottinati del Terrore, e i conseguenti esperimenti galvanici sui corpi dei giustiziati attribuiti nella finzione letteraria al figlio del realmente esistito Nicolas Philippe Ledru, detto Comus, seguace di Galvani.
Ledru figlio però, a differenza del padre, utilizzerà l’elettricità non per trattare l’epilessia e la catalessi, ma, emulo del nipote di Galvani, Giovanni Aldini, per verificare la persistenza della coscienza nei cadaveri dei condannati con l’obbiettivo filantropico di far abolire la pena di morte. Gli esperimenti nel cimitero di Climart nel 1793, in pieno Terrore, ricordano il Frankenstein, e all’inquietante domanda su quanto tempo persista la coscienza in una testa tagliata, risponderà l’episodio – dato per vero – della decapitazione della bella Charlotte Corday, l’assassina di Marat, la cui testa mozza, schiaffeggiata per spregio dall’assistente del boia, arrossisce d’indignazione impotente.
Si vede che lei non guarda nel paniere quando sono là tutti insieme [commenterà il vice boia rivolto al dubbioso Ledru] che non li vede torcere gli occhi e digrignare i denti, ancora cinque minuti dopo l’esecuzione. Siamo obbligati a cambiare paniere ogni tre mesi, tanto ne devastano il fondo coi denti. C’è una quantità di teste di aristocratici, veda lei, che non vogliono decidersi a morire, e non sarei stupito che un giorno qualcuna di queste si mettesse a gridare : Viva il re!
Qualunque cosa Dumas racconti, il suo abbandono al gusto dell’affabulazione è sempre totale, incondizionato: che siano romanzi storici, feuilleton, storie soprannaturali o perfino le ricette gastronomiche del monumentale Grand dictionnaire de cuisine (provare a leggerlo per credere…) che redasse nel 1869, ultima delle sue opere – il piacere della lettura è assoluto.