“La mutazione è parte dell’evoluzione umana ed è per questo che il logo del gruppo è il teschio dell’ominide di Cro-Mangnon, metafora della costante evoluzione e mutazione dell’umanità, con due chiavi inglesi incrociate, simbolo del nostro operare”. La Mutoid Waste Company nasce a Londra verso metà degli anni Ottanta dall’incontro di Joe Rush, uno scultore influenzato dall’estetica di Mad Max e del primo cyberpunk, con Robin Cooke, un meccanico con un talento mostruoso per il riciclo e le tecnologie di scarto. I Mutoids diventeranno nel giro di pochi anni un ensemble di artisti e performer come non se ne erano mai visti; nessuno meglio di loro ha saputo metabolizzare la potenza dell’immaginario “post” che incalza gli anni ‘Ottanta e Novanta attraverso i fumetti di “2000 A.D.” e Tank Girl, il design di H.R. Giger, il teatro della Fura dels Baus, le performance di Stelarc e Marceli Antunes, non meno che i romanzi di James G. Ballard e, ovviamente, di William Gibson. Un immaginario che, con trent’anni di anticipo sul sentire comune, annuncia la catastrofe (climatica, pandemica, sociale… mettete al posto della X quello che volete) verso cui stiamo tuttora allegramente marciando.
I Mutoids hanno saputo sintonizzarsi meglio di chiunque altro su questa lunghezza d’onda, riciclando relitti industriali e carcasse di auto nel corso di installazioni e spettacoli memorabili, dando vita a carri e a sculture semoventi (i mutoidi) che sembrano soltanto in attesa di Fury Road ma, soprattutto, a una pratica artistica sovrapponibile al loro stile di vita nomade e cosmopolita, di artisti radicali con le mani sporche d’olio. Nell’Inghilterra di Margaret Thatcher, lo scontro sociale che nella capitale ha già reso la pratica dello squatting alla portata di tutti o quasi, trova in quegli anni nei ravers e nei travellers i movimenti antagonisti più attivi e innovativi, su cui si abbatte la repressione tory. È uno scontro di corpi che si oppongono alla macchina, di ribelli che resistono grazie all’astuzia e all’inventiva, ma è anche uno scontro impari. Alla fine il “virus mutoide” della Company – che nel frattempo ha allargato l’organico, accogliendo decine di nuovi adepti – deve cambiare aria e lasciare Freston Road per diffondersi in Europa. È la volta di Amsterdam, Berlino, Barcellona, Parigi, fino ad approdare nel 1990 in una ex cava alle porte di Santarcangelo di Romagna, complice il Festival Internazionale del Teatro di Piazza. Nasce così Mutonia, l’eterotopia anti-consumista, il paese dove grazie a collaudate tecniche di circolarità artistica i materiali espulsi dal ciclo post-industriali possono rivivere e trovare un nuovo significato, in una strana ecologia simbiotica con la società e la campagna circostante.
“Le mie sculture disseminate per il campo nascono da una relazione diretta con i pezzi che manipolo. Spesso parto elaborando l’idea che voglio portare a termine e seguo un processo biunivoco, perché può venirmi l’idea da un certo pezzo e vado avanti a farmi guidare dai materiali oppure l’opera nasce con la preparazione di un progetto e poi inizio a cercare i pezzi per realizzarlo (..) Se in un paio di giorni non salta fuori niente prendo il furgone e vado a Gambettola, un paese qui vicino dove c’è un grande rottamaio e posso trovare quello che mi serve.” (Lu Lupan).
Mutate or die è il frutto di due anni di lavoro e di interviste che l’autrice, Rote Zora (Elisa Fosforino) ha pazientemente raccolto entrando in relazione di studio e di amicizia con i protagonisti di questa straordinaria vicenda artistica ed esistenziale. Ogni capitolo è un’esplosione di frammenti che attraverso le voci di Joe, Strapper, Sally, Emma, Alex, Lu, Lyle, Bull, Alli, Allegra e degli altri ti investe mentre ricostruisce, un passo alla volta, la storia trentennale dei Mutoids dal punto di vista – molteplice – di chi l’ha vissuta.
Trent’anni dopo Mutonia è ancora lì, fuori Santarcangelo, malgrado un tentativo di sgombero da parte del Comune, subito rientrato per le proteste. Ufficiosamente resta la “casa” dei Mutoids, oggi sparsi per il mondo, tra Londra e la Nuova Zelanda.