Tra gli amanti della musica, molti hanno sognato di diventare un affermato critico, scrivere dei propri idoli, condividere le proprie idee con la comunità di appassionati. Be’, per tutti costoro e per gli intellettualmente curiosi è apparso un libro che desterà il loro interesse, opera di uno dei più stimati giornalisti musicali del nostro Paese, Rossano Lo Mele con Scrivere di musica. Una guida pratica e intima.
Quegli aggettivi, “pratica e intima”, rivelano l’approccio autobiografico seguito dall’autore: Lo Mele intende fornire una griglia di sapidi consigli e meditate dritte a chi voglia intraprendere questo fascinoso mestiere, e lo fa parlando di sé, della sua esperienza umana e dalla competenza maturate in oltre un trentennio di ascolti e di lavoro critico, sfociato nella direzione di un’apprezzata rivista musicale, Rumore, tra le poche sopravvissute all’ecatombe del formato cartaceo.
È una scelta vincente, sotto ogni profilo. Innanzitutto, il ricordare cantanti e gruppi musicali della propria adolescenza, le prime esperienze di ascolto, la frequentazione dei concerti, la rievocazione degli ambienti e degli “odori” di epoche passate, cattura subito l’attenzione del lettore, che in quelle esperienze si riconosce.
Inoltre, in tal modo si evitano i pericoli insiti in uno stringente andamento saggistico, eccessivamente concettuale: la noia, la mancanza di partecipazione emotiva. Intendiamoci, le parti “tecniche” e gli approfondimenti critici non mancano, ma l’approccio autobiografico ottiene lo scopo che un libro del genere dovrebbe prefiggersi: la chiarezza espositiva e la fruibilità anche da parte di chi non abbia grandi conoscenze o particolari competenze. Una frase come “sono cresciuto in una casa piena di dischi”, le vicende di una famiglia meridionale che emigra al Nord, raggiunta da uno zio appassionato di musica che vince un concorso e si ferma dai parenti “portandosi dietro la sua collezione di cantautori italiani e jazz”, il ricordo delle notti in cui il futuro critico si alzava di nascosto per ammirare quei dischi che parlavano di una musica così “lontana da quella che sfondava in classifica e abitava i palinsesti della tv”, la percezione di “qualcosa di raro” che lo faceva sentire un cospiratore, un “fiancheggiatore”, la cronica mancanza di soldi e le ore infinite passate “a compilare amorosamente e maniacalmente copertine di audiocassette”, be’, sono il modo perfetto per attirarsi le simpatie e l’attenzione del lettore.
Soprattutto, risulta vincente e convincente il discorso identitario seguito da Lo Mele: l’esperienza e la fruizione musicale, almeno dagli anni Sessanta, sono quasi sempre fuse con l’aspetto dell’identità, di gruppo ma anche soggettiva. A proposito della curiosità, che l’autore prova a soddisfare immergendosi nel “mondo criptico” delle riviste di genere ignorate dalla gran parte dei suoi coetanei, egli scrive “le mie riviste mi differenziavano dagli altri, in quella maniera ingenua e commovente in cui si brama l’unicità durante l’adolescenza”. E, qualche pagina dopo, parlando del fratello maggiore, della musica che ascoltava (alternativa, underground, indie), Lo Mele scrive: “Io voglio essere diverso – alternativo – e costruire un’identità mia. La cosa si può realizzare attraverso la musica”. È questo il cuore dell’esperienza narrata: una ricerca identitaria attraverso la musica. Della serie: io sono quel che ascolto. E quel che suono, poiché, come ci rivela Lo Mele, “la musica volevo pure farla, oltre che ascoltarla e scriverne”. E infatti è anche un batterista, con un suo gruppo, i Perturbazione.
L’approccio autobiografico ha infine un altro asso nella manica, la possibilità di seguire una dimensione cronologica che permette all’autore di operare una lucida analisi delle rivoluzioni intervenute negli ultimi trent’anni in fatto di produzione e fruizione della musica, e quindi delle mutazioni delle modalità critiche e dei media. Lo Mele può portarne testimonianza in quanto la sua formazione è cominciata in un’epoca predigitale, quando “esistevano solo due canali per informarsi: la stampa specializzata e la radio”. In tal modo egli può comunicarci il suo “viaggio” di formazione, la progressiva crescita intellettuale, il “giro un po’ lungo” intrapreso per farsi le ossa, passando dalla radio, da una rubrica tenuta in un settimanale locale dove recensiva novità discografiche (“una grande palestra”), le “preziose lezioni di buon senso” dopo le acerbe stroncature, l’esperienza delle fanzine, la direzione di una rivista musicale cartacea, la docenza universitaria di “Linguaggi della musica contemporanea”.
Idealmente, il libro si può dividere in due parti, la prima dedicata alle premesse teoriche (intenti, onestà intellettuale, basi deontologiche, il ruolo dell’autocritica, i pericoli della vanità e del pregiudizio), l’altra concentrata sulla pratica della critica musicale. Nella stesura del testo, Lo Mele segue uno dei saggi consigli che dispensa agli aspiranti giornalisti musicali: storicizzare, accettare la sfida della critica contemporanea, che agisce in un paesaggio sonoro sempre più atomizzato e difficile da setacciare, saper interpretare i fenomeni e metterli in connessione tra loro. Oggi più che mai “serve uno sguardo informato e laterale”, c’è bisogno di “molteplici chiavi di lettura, possibilmente interdisciplinari”. In breve, la sola competenza musicale non basta più: “Bisogna imparare ad essere altro, dalla versatilità non si sfugge”.
Lo Mele mette dunque in pratica questi consigli, in particolare nella seconda parte del libro: unisce i punti sparsi del giornalismo musicale, dà delle coordinate storiche, riassume la nascita e l’evoluzione della critica rock (un’agile e illuminante cavalcata dove recupera alcuni grandi specialisti anglosassoni come Lester Bangs, Fred Dellar, Paul Morley, Nick Kent, Ashley Kahn, Laura Snapes), segnala i cambi di paradigma, mette a fuoco la nuova realtà determinata dall’avvento del digitale, dalla comparsa della rete e dei social network. Quindi, entra nello specifico, soffermandosi su tecniche e generi di scrittura musicale e fornendo utili esempi: come realizzare un pitch (un’idea di articolo con relativa descrizione), una recensione, un’intervista, un pezzo d’opinione, una feature, un longform, come raccontare la musica dal vivo, come affrontare l’editing, come pubblicare notizie online e gestire i social network.
Non manca poi l’analisi di uno dei fenomeni più recenti, quello dei videoarticoli, tipo quelli postati sul canale Vox di YouTube, o su siti web come Genius, e un’ottima bibliografia, che fornisce un utile strumento al lettore che voglia ampliare la ricerca sui temi trattati. E a condire il tutto, una spruzzata di sano realismo: chi intraprende questo mestiere non si illuda, “la strada è tutta in salita”, quello del giornalismo musicale è un mondo in cui “di delusioni cocenti è facile subirne tante”.
Insomma, chi prenderà tra le mani Scrivere di musica troverà un libro di gradevole lettura, pieno di utili nozioni e di riferimenti, un’opera che riesce a fondere fruibilità e il giusto approfondimento. E a chi volesse seguire le orme del suo autore, in bocca al lupo!