Rose Macaulay: lotta alla stupidità e i pericoli di una dittatura mascherata da democrazia

In "Eccetera. Una commedia profetica" la scrittrice, spirito anticonformista e ribelle, immaginò un futuro cupo e inquietante di quelli prefigurati da Huxley e Orwell.

In letteratura non sono pochi i libri misconosciuti che hanno avuto una profonda influenza su romanzi di successo. Ad esempio, nell’ambito del genere distopico sono ben noti Il mondo nuovo di Aldous Huxley, uscito nel 1932, e 1984 di George Orwell, pubblicato nel 1948: entrambi tratteggiano un fosco futuro dominato da poteri tirannici che controllano e manipolano le masse con l’ausilio della tecnologia, soffocando le libertà civili e politiche.

Rose Macaulay Eccetera. Una commedia profeticaMeno noto è che questi due capolavori devono molto ad un libro pubblicato in Inghilterra nel 1918, What Not. A Prophetic Comedy, della scrittrice Rose Macaulay, lodevolmente recuperato da un editore che punta sull’intelligente rispolvero di importanti testi caduti nell’oblio, il maceratese Liberilibri, che lo ha proposto al pubblico italiano con il titolo Eccetera. Una commedia profetica, nella traduzione di Irene Canovari (pp. 245, 16 €).

In quest’opera Rose Macaulay, spirito anticonformista e ribelle, prolifica autrice di romanzi, saggi letterari e diari di viaggio, amica di Virginia Woolf e tra le menti più acute del suo tempo, immaginò un futuro non meno cupo e inquietante di quelli prefigurati da Huxley e Orwell. Il libro fu ritirato all’indomani della pubblicazione, forse per il messaggio non propriamente ottimistico sul destino dell’umanità, e per alcuni passaggi considerati sovversivi. Riuscì l’anno seguente, in sordina, e lentamente fu dimenticato.

Ma qual è il contenuto così disturbante di questa “commedia profetica”? La vicenda si svolge all’indomani del primo conflitto mondiale, in una Londra devastata e sconvolta da quell’esperienza e in una situazione di estrema instabilità politica, con un’umanità che “si affacciava nervosa verso un futuro che si profetizzava grigio e oscuro”. Per non ripetere quel tragico errore, il governo salito al potere (un “Consiglio Unito” composto da “cinque menti con un singolo pensiero” che ha “eliminato” il Primo Ministro) lancia una radicale sfida culturale e politica a ciò che determina le guerre – la stupidità. Per prevenire la nascita di cittadini idioti, capaci di scatenare un nuovo conflitto planetario, viene istituito un “Ministero dei Cervelli”, guidato da un brillante e volitivo ministro, convinto assertore dell’esperimento rivoluzionario ed estensore della “Legge per il progresso mentale”, che classifica la popolazione in base all’intelligenza, regolandone le unioni a seconda delle categorie in cui essa è schedata (dalla A alla C3) tramite un “Direttorato del Matrimonio”, dissuadendo con pesanti fardelli economici i più stupidi a sposarsi tra loro e a prolificare, e perseguendo i recalcitranti con l’accusa di “propaganda contraria all’interesse nazionale”.

Lo stesso ministro e una funzionaria del suo dicastero, Kitty Grammont, donna brillante e acuta, inizialmente entusiasta del tentativo portato avanti dal nuovo governo ma poi assalita da feroci dubbi sull’efficacia e sulla desiderabilità del suo lavoro (“Era così importante poi il cervello? Gli intelligenti erano più felici degli stupidi?”), vivranno sulla loro pelle le conseguenze di un potere disumanamente paternalistico e vessatorio, che pure si propone di agire per il miglioramento dell’umanità.

Giocato sul lacerante conflitto tra coppie oppositive (idealismo/realtà, ragione/amore, legge/sentimento, pubblico/privato), il libro è una potente denuncia del controllo sociale e della manipolazione dei sentimenti e della natura umana da parte di uno Stato dispotico, un romanzo speculativo in forma di commedia che, come si diceva, influenzò i capolavori di Huxley e Orwell. Ma a differenza di questi, netti nella separazione tra Bene e Male e alquanto tetragoni nella denuncia della tirannia, la vicenda qui narrata complica non poco il quadro, a cominciare dalla dedica, non si capisce fino a che punto ironica: “Ai funzionari pubblici che ho conosciuto”.

La riflessione si sofferma infatti su un nodo di ben arduo scioglimento. Perché è tristemente vero che la stupidità è causa di mali sociali, e in fondo lo scopo che si prefigge il Ministero dei Cervelli è “far avanzare il progresso ed evitare un’altra Grande Guerra”. Il presupposto che muove questa forma di governo è dunque sano in linea di principio, e legittima la domanda che il testo pone: “Cosa succederebbe se mai fossimo più intelligenti di quel che siamo ora?”

Tuttavia, il programma politico e sociale messo in atto genera “un regno arido e sterile che confinava persone in carne e ossa a materia stampata e idee e prosciugava la vita umana”, e finisce per instaurare una subdola tirannia mascherata da democrazia progressista e illuminata, che opera sulle masse con la pubblicità occulta, bombardandola di slogan, libelli, pubblicazioni e progetti formativi (memorabile preconizzazione del ruolo centrale della propaganda nei regimi totalitari che segneranno il Novecento e dello scoppio di un secondo conflitto mondiale), soprattutto agendo sulla sfera più intima e privata, l’amore, la libertà di unirsi con chi si desidera: “La più importante testimonianza della spietatezza del Ministero era il suo distruggere e ignorare le ragioni del cuore umano”. Come sintetizza un personaggio, il padre del ministro idealista che segue maniacalmente la propria visione, pur pagandone le conseguenze: “L’umanità; amore, procreazione, famiglia: cose semplici, ma profonde e grandi, che nessuna legge sostituirà mai”.

In definitiva, Rose Macaulay s’avventura consapevolmente in un “territorio inesplorato, troppo impervio per lo scrittore di oggi”, intrecciando una trama romanzesca dagli esiti imprevedibili, o forse sin troppo prevedibili, vista la natura umana. L’autrice inglese si propone di esplorare le logiche conseguenze di uno Stato che si impone sull’individuo, anche affrontando il delicato tema della pericolosità, per una democrazia, di un potere costituito da un’aristocrazia dei cervelli (esiste un “allevamento di Funzionari Pubblici di razza pura”), ponendo l’ineludibile interrogativo, tutt’oggi di stringente attualità e reso ancor più evidente dall’emergenza pandemica che stiamo vivendo: fino a che punto è legittimo per un Governo interferire con la vita privata dei cittadini? Temi scottanti, conditi da acute riflessioni sulla natura umana, sui modi di aggregazione sociale, sul ruolo della tecnologia, sui tentativi di orientare e globalizzare – diremmo oggi – il pensiero, l’opinione, i comportamenti, argomenti affrontati con il registro della commedia e levità di tocco, insaporiti da acume psicologico e gustosa ironia, che rendono godibile la lettura di quello che è davvero un gran bel romanzo.

Pubblicato daGlobalist