Rosa Liksom / Finlandia, Terra incognita

Rosa Liksom, La moglie del Colonnello, tr. Delfina Sessa, Iperborea, pp. 224, euro 16,50 stampa, euro 9,99 epub

La scelta della bella casa editrice milanese Iperborea, fondata per far conoscere in Italia la letteratura del nord Europa (obiettivo magnificamente centrato perché quando si pensa a un autore baltico o scandinavo, Iperborea viene sempre in mente per prima), è quella di confluire tutti i titoli in un’unica collana, con un formato immediatamente riconoscibile e un progetto di copertina uniforme, variato di poco dalla fondazione (1987) a oggi. Questo potrebbe generare nel lettore l’erronea impressione di una corrispondente uniformità di tematiche, scrittura e generi. Nulla di più sbagliato. Il catalogo contiene autori e opere diversissime, con un’offerta che va dai classici Strindberg, Hamsun e Lagerlöf alla poesia contemporanea, dalla fantascienza più attuale al romanzo storico.

La moglie del Colonnello (2017, titolo originale Everstinna, cioè “colonnello”) è prima di tutto una biografia romanzata, che racconta la relazione tra la scrittrice finlandese Anniki Kariniemi (1913-1984) e il generale Oiva Willamo (1887-1967): i due si nascondono dietro i sostantivi Colonnello e, meno frequente, Poetessina. Quest’ultima è la voce narrante di una storia che inizia poco dopo la grande guerra e termina negli anni Ottanta. Il background affonda nella storia della Finlandia tra le due guerre, terra incognita per il lettore italiano, tanto da spingere la casa editrice a posporre al volume una nota storica di Ingrid Basso, molto utile e approfondita. Il titolo della traduzione italiana sposta l’accento sulla Poetessina, ma come indica l’originale, Everstinna, al centro della narrazione c’è soprattutto la vita maledetta del Colonnello.

L’adolescenza della narratrice affonda le radici nell’humus del fascismo finlandese. Suo padre è un sostenitore della Guardia Bianca, i volontari antibolscevichi che combatterono nella guerra civile seguita alla Rivoluzione d’ottobre, conclusasi con l’indipendenza del paese scandinavo da Mosca. Il Colonnello è un amico di famiglia, presenza inquietante che spaventa e contemporaneamente attrae la bambina. La sua maturazione culturale e sessuale è tutta nel segno dell’ultradestra finlandese e del reazionario patriarcato luterano – è lei stessa a vedere come quasi inevitabile la sua unione con un uomo molto più anziano di lei, coetaneo del padre, quasi una predestinazione calvinista.

E da quel momento la relazione narratrice/Colonnello procede su un binario parallelo a quella Finlandia/Germania, un abbraccio mortale che ridurrà tutto in pezzi. Alcuni protagonisti della Storia con la “s” maiuscola fanno capolino qua e là: Göring, Speer, il maresciallo Mannerheim, lo stesso Hitler, a dimostrare quanto il Colonnello sia coinvolto nelle trame nere del suo paese. La scelta di sposare completamente il punto di vista della narratrice aiuta il lettore a superare non solo le tappe più scabrose del genocidio – cui la Poetessina assiste in Polonia ma che rimuove con un meccanismo psicologico speculare a quello con cui la Finlandia si consegna all’abbraccio mortale del nazismo, per odio alla Russia – ma anche la mortificazione della violenza fisica che il marito/colonizzatore esercita sulla moglie/colonizzata.

Questa rimozione è la chiave per comprendere l’obnubilamento della narratrice, che nasconde sotto il tappeto le violenze dei suoi compagni, le fucilazioni di massa, le notizie sui delitti del Colonnello, finanche lo stupro di chi le è vicino, vicinissimo. Persino quando prova sulla propria pelle, sulle proprie ossa, l’insensata brutalità dell’uomo, si convince che sia solamente una zona d’ombra di una relazione solida, e arriva a imputarla alla frustrazione politica della sconfitta. Come la Wehrmacht brucia l’intera Lapponia, quando è costretta a ritirarsi dopo l’armistizio russo-finlandese, così il Colonnello infierisce sanguinosamente su quella che considera una sua proprietà personale: la Poetessina, come la Finlandia settentrionale, sono colonie devastate prima dell’abbandono al nemico, prese a calci per far abortire un feto o la democrazia.

Incurante di qualsiasi avvisaglia, la narratrice si chiude nella prigione rosa del suo idillio erotico; neppure la madre del Colonnello, che cerca di dissuaderla dallo sposare il figlio, riesce a farla recedere. È soltanto un lungo ricovero in ospedale psichiatrico, e forse il disprezzo di un medico, a stimolare l’inversione di marcia e tirare fuori una scrittrice da una fascista non completamente pentita.

Non so se Rosa Liksom, scrittrice nata in Lapponia e esperta di Russia, provi compassione per la sua coprotagonista, o anche solo comprensione: forse la scelta di raccontare il legame Kariniemi/Willamo origina da una decisione di politica culturale locale, rivolta al pubblico finlandese; ma voglio pensare che sia piuttosto un tentativo di spiegare il Male attraverso l’ingenuità, il volontarismo, l’impossibilità di difendersi dai suoi tentacoli quando una società rimuove gli anticorpi che servono a proteggerla dalle ideologie di morte.