In questi giorni nelle riviste e nei blog di fantascienza il nome di Jeff VanderMeer è uno dei più citati, nel bene e nel male. Cosa è accaduto? Due eventi: la pubblicazione per Einaudi della traduzione italiana del suo ultimo romanzo, Borne, e la diffusione su Netflix del film ricavato dal primo dei tre romanzi dedicati all’Area X, Annihilation, trilogia pubblicata anch’essa da Einaudi due anni or sono, e recentemente riproposta in un unico volume. Borne è stato ottimamente tradotto da Vincenzo Latronico, che si è immerso con empatia e partecipazione nell’universo di VanderMeer e dei suoi personaggi.
Nel mondo della fantascienza si guardava con attenzione e interesse al nuovo romanzo dello scrittore, che è considerato tra gli inventori del cosiddetto New Weird e uno dei nomi più promettenti delle nuove generazioni. Si sperava in una riconferma dopo il successo mondiale dell’Area X, e senza dubbio il risultato è all’altezza delle aspettative.
Sia sul piano dei contenuti che in merito alle scelte formali vi sono molti aspetti per cui i due oggetti – il film e il nuovo romanzo – sono in relazione, in particolare se si tiene sullo sfondo l’intera trilogia. Borne però non è il seguito della trilogia, seppure vi siano molti elementi condivisi. VanderMeer ha scritto quello che potremmo definire un percorso parallelo, rispetto alla claustrofobica e ansiogena genetica mitopoietica descritta nell’Area X. Se il mondo della trilogia è apparentemente il nostro, e solo con l’addentrarsi nella narrazione ci si rende conto dell’alterità di quanto sta accadendo, Borne è ambientato in un futuro distopico post-apocalisse in cui nulla è rimasto del nostro mondo, salvo gli esseri umani.
Alex Garland, regista del film tratto da Annihilation, cosciente che le mille trame e i mille piani che componevano la trilogia non avrebbero mai potuto essere trasferite in due ore scarse di film, ha montato scegliendo un approccio preciso, e ha deciso che la genetica poteva essere l’altro lato della psicoanalisi, e che la loro convivenza sarebbe stata all’origine del tema cruciale del film: l’individuazione dell’identità e la sua scomparsa. È un lavoro affine quello che ha compiuto VanderMeer con Borne, dando a poco a poco corpo e sostanza ai suoi personaggi, identificandoli, contrariamente ai gusci vuoti atemporali che sopravvivevano all’Area X.
Come se si trattasse di un romanzo di formazione, costruito assolutamente passo dopo passo, Rachel, Wick e Borne, la cui vita ci viene raccontata, crescono, si spiegano, si scoprono e si mostrano come la famiglia che sono. Un romanzo tradizionale come tanti ne ha prodotti un canone secolare, trasferito però in un’ambientazione post apocalittica: questo è Borne. Vi sono tutti gli elementi: la relazione d’amore, l’affetto filiale, la crescita dell’adolescente ribelle, il conflitto con il padre, il distacco dalla famiglia, la conoscenza della morte. Salvo poi servire questi elementi in un unico pasto insieme a una Compagnia, non meglio identificata, ma che rimanda alle grandi multinazionali del nostro tempo, oltre che alle zaibatsu del primo Gibson, ad atmosfere che sembrano emergere da Miyazaki e dalla demonologia shintoista, soprattutto nel modo in cui Borne l’alieno viene mostrato al lettore, ma anche a proposito di molti dei personaggi secondari. Troviamo infine cupi rimandi lovecraftiani che incutono arcani timori, tradotti in una discesa agli inferi che si oppone al disperato tentativo di essere persone, di continuare ad esserlo, di diventarlo.
Ricordare, ci dice VanderMeer attraverso Rachel, è il senso della coscienza, è il criterio della scelta, è ciò che ci rende persone, e non a caso il mancato ricordo, l’oblio, l’assenza di tempo e di memoria, sono al centro della tragedia della biologa nell’Area X, anonimo guscio vuoto, contraltare di una ricerca continua che anima i personaggi di Borne. Il romanzo è quindi una sorta di complemento della trilogia, pur restandone assolutamente distinto, proprio per la ricorrenza di alcune temi fissi del pensiero di VanderMeer, e per certi versi è sicuramente un’opera più compiuta e coerente, rispetto all’anarchia surrealista della trilogia.