Tiziano Scarpa, Il cipiglio del gufo, Einaudi, pp. 387, euro 21,00 stampa, euro 9,99 epub
Di Tiziano Scarpa ricordiamo, all’inizio del 2001, le poesie scritte insieme a Aldo Nove e Raul Montanari, vere e proprie “covers” di canzoni considerate classiche, Beatles Pink Floyd Peter Gabriel Lou Reed David Bowie per intenderci. Riscritture di una quarantina di canzoni celebri, piste di decollo per testi poetici e fantasie metriche portate anche nei teatri. Bisognava capire come Scarpa e soci camminassero liberi nei vasti territori delle merci, in quel novello sfarfallio pop e intellettuale che alcuni appaltatori definivano postmoderno. Ma che più semplicemente aveva il brevetto della fantasia polipesca, cresciuta dentro intelligenze al lavoro e prive di rimembranze commemorative.
Se mai si trattava di scrittori abituati a sorvolare i cippi dei grandi (ognuno di loro aveva i suoi) che li avevano preceduti, aguzzando bene lo sguardo e divertendosi senza farsi intimorire. Scarpa, passeggiatore nella sua Venezia, di cortesie per gli ospiti in quei paraggi ne ha svolte parecchie, da Occhi sulla graticola a Venezia è un pesce, da Amore® a Stabat mater, senza lasciarsi sfuggire dentro la bora storie locali e brevetti affettivi d’altre contee. Che per lo scrittore sono sempre stati altrettanti soggiorni nelle fisionomie mentali e architettoniche di passeggeri e edifici di cui l’Italia è albergo.
Nel Cipiglio del gufo l’ultima stagione è ricca di intenzioni andate a buon fine e personaggi che tentano in ogni modo di forzare la mano dell’autore, sfrugugliando nella sua tastiera e tentando ingerenze nel racconto fino a ieri impensabili (scordiamoci per una volta il tedio pirandelliano). Il telecronista famosissimo, l’insegnante di liceo in cerca di fama libresca, il trentenne (d’altronde dotatissimo) all’inseguimento di ricche vedove da spennare, con il contorno di comprimari di vario peso e natura, sono tenuti ben stretti da Scarpa nella sua storia, dove le regole studiate dal dio del racconto sono ferree e gli incroci inevitabili, necessari e stabiliti una volta per tutte.
Qui sta la grande abilità e la decisione “fondamentalista” di Scarpa, la precisa messa in scena di un romanzo dal meccanismo a orologeria, prestabilito e fatale. L’autore provoca e sviluppa situazioni drammatiche, comiche, fantascientifiche, in una sorta di saga “pulp” (e il termine in questo caso intende un merito tutto contemporaneo) d’invidiabile abilità. I capitoli dedicati ai singoli eroi (si fa per dire) conducono a epiloghi incrociati attraverso molteplici peripezie nel labirinto veneziano della greppia turistica, nei fondi oscuri del potere romano, nel finto lounge editoriale milanese, e perfino nella realtà “aumentata” e alquanto terrificante del ciberspazio.
Il meraviglioso e temibile gufo della sopracoperta (un plauso a Lucia Veronesi, illustratrice) non è per niente estraneo ai fatti narrati, attenzione a come balza fuori dal bianco terso della carta, annunciante qualcosa che potrebbe coinvolgervi fino all’ultima parola dell’ultimo capitolo. E allora sì, che non ci sarebbe più nulla da fare.
16 APRILE 2018