Paola Romano, Davide Di Vincenzo / Scartati e risentiti

Paola Romano, Davide Di Vincenzo, I Disconosciuti, Cronache Ribelli, pp. 104, 21x29 cm, euro 17,00 stampa

Cronache Ribelli è un progetto editoriale nato nel 2018, a partire dalla rivista “Cannibali e Re”, totalmente dedicato alla storia e agli immaginari dell’anarchismo. “Uno spazio di racconto storico alternativo a quelli classici, poiché mette al centro della sua narrazione le vicende delle classi popolari, delle minoranze e delle soggettività oppresse”. Da qualche tempo, inoltre, questa casa editrice orizzontale e non-gerarchica ha aperto le porte al gioco da tavola e al fumetto, dando vita alla timeline interattiva de “Il tempo della rivolta” e a una collana di graphic novel, di cui Sgradito, di Paola Romano e Davide di Vincenzo, rappresenta il secondo tassello.

Impossibile non restare subito colpiti dalla copertina, che cita in modo diretto la storica cover della discografia completa di Minor Threat, seminale band hardcore punk di Washington. Un tributo che appare in gran parte giustificato dai temi trattati in questa breve opera a fumetti: la sofferenza psichica ed esistenziale dei giovani maschi bianchi etero, i processi di emarginazione e radicalizzazione nei quali molti si ritrovano coinvolti e la scarsa attenzione rivolta agli ambienti di sviluppo. L’idea di essere “out of step”, ossia del non volersi conformare a tutti i costi, da questo punto di vista, rappresenta il motore dell’intero impianto narrativo. Seguiamo la storia di Matteo (un nome come un altro), un adolescente normale nato in una famiglia normale, che non ha problemi di alcun tipo, se non quello di sentirsi inadeguato rispetto a ciò che gli altri sembrano pretendere da lui. È da qui che l’autrice prende le mosse per tradurre i “brutti” del “celibato involontario” in “sgraditi”. Essere sgraditi significa essere umani di seconda categoria: individui che possono farsi largo solo rimarcando la propria diversità e il proprio anticonformismo. 

In tal senso, il parallelo con la rabbia bianca dell’hardcore risulta ancor più raggelante, poiché fa emergere a pieno il vuoto politico che questo anticonformismo esasperato va a occupare: senza più alcun obiettivo politico (che sia anche il mero senso di una comunità che resiste insieme), l’esperienza della solitudine e dell’emarginazione non può che rivolgersi al labirinto simulacrale della rete. È la proliferazione della morte descritta da B. R. Yeager in Amygdalatropolis, lo scavo di uno spazio negativo nel quale l’essere umano si disgrega e cede il passo a un’estasi al contempo distruttiva e autodistruttiva. 

Matteo, il nostro protagonista, si ritrova coinvolto in uno di questi forum, “Il forum degli sgraditi”, per l’appunto, luogo in cui la sua rabbia troverà una forma e una destinazione finale. A monte, però, vi è la consapevolezza di non aver alcuna via d’uscita dalla propria matrice psichica e culturale. Chi nasce in una famiglia dalla forte impostazione patriarcale può sperare di uscirne, se tutto va bene, quando troverà un lavoro in grado di renderlo autonomo e indipendente (un fatto sempre più raro). Per sua sfortuna, però, Matteo è uno studente delle superiori; suo padre è carabiniere; suo fratello maggiore sta anche lui per entrare nell’arma; sua madre è praticamente inesistente all’interno dell’economia domestica e simbolica della famiglia. L’aspetto più importante della vita di Matteo, agli occhi del padre, è il calcio, un’attività che quest’ultimo impone al figlio in modo subdolo e ricattatorio. Anche nello sport, però, Matteo trova replicati i medesimi meccanismi ai quali è abituato a casa: competizione, culto della personalità e celebrazione del “migliore”. Dinamiche alle quali egli non è costitutivamente in grado di partecipare, come nota persino suo padre, quando allude alla sua “scarsa aggressività”. Sono queste le coordinate che conducono Matteo a scavarsi una nicchia nella quale poter esistere non visto, non notato – eccezion fatta per Giulia, la sua unica amica. 

A un certo punto, però, quando questa tana si fa troppo stretta e fin troppo assediata, Matteo cerca rifugio nelle profondità del web. Qui, il suo caotico vissuto interiore viene plasmato da forze anonime e impersonali. Assistiamo in tempo reale alla costruzione di un’esperienza soggettiva parallela, che deforma la realtà alla stregua di uno specchio distorcente. Qui giocano un ruolo fondamentale la sensibilità di Paola Romano e la sua capacità di cogliere le dinamiche affettive alla base delle politiche della cosiddetta “maschiosfera”. L’incel, anzi, lo sgradito è il prodotto di un processo di individuazione secondaria o sussidiaria, nel corso del quale l’inabilità a osservare, definire e manipolare le emozioni e il vissuto interiore viene piegata alle logiche allucinatorie di un fascismo di secondo grado. Un fascismo all’ennesima potenza, si potrebbe dire: il prodotto di scarto dei processi di individuazione primaria che dominano la nostra società capitalista, iper-gerarchica e patriarcale, basato sull’espansione metafisica e sulla radicalizzazione politica di questi stessi principi. Non è un caso che l’incel sostenga di avere una visione più realistica dei rapporti sociali e della vita: è così, solo che questa stessa visione viene filtrata tra le maglie di un orizzonte allucinatorio, nel quale gli affetti si sostituiscono alle ragioni. La rabbia e la tristezza, in tal senso, sono gli occhiali che lo sgradito indossa senza neppure esserne consapevole.

Alla base dell’estremismo incel vi è la percezione esistenziale di un anticonformismo tragico e autodistruttivo. Come scrisse Bifo qualche tempo fa: “Il risentimento maschile agisce come fattore di identificazione: il giovane maschio isolato nella sua fragile capsula digitale e il maschio senescente depresso reagiscono alla loro frustrazione identificandosi nell’eroe bianco”.

Il lavoro di Romano e Di Vincenzo fa di tutto per smarcarsi da questa pericolosa posizione. Il contesto di Matteo è semplice e comune, così come le sue relazioni personali. La storia che si vuole raccontare in queste pagine non è una storia particolare ma universale. Ciò fa sì che il testo risulti un po’ scarno. La stessa esplorazione psicologica del protagonista (distantissima dalla soggettiva in prima persona che si può trovare nelle opere di Yeager e Mike Ma) repelle del tutto la tentazione di assumere un punto di vista interno, che risulterebbe necessariamente ambiguo e controverso. Da questo punto di vista si tratta, a mio avviso, di un’occasione persa, che rischia, a tratti, di far cadere un velo di condanna politica e simbolica su tutta la storia di Matteo – facendo perdere parte dell’impatto critico. Anche gli altri personaggi, nella loro spietata banalità, cedono il passo a “stereotipi di sinistra” che si sarebbero potuti evitare con una maggiore attenzione al dispositivo narrativo. Questo effetto complessivo è amplificato dal tratto tanto efficace quanto essenziale di Di Vincenzo, capace di restituire al lettore l’oscurità interiore e la solitudine del protagonista, ma che tende anche ad appianare personaggi e ambientazioni.

Sgradito è una storia dritta, del tutto priva di orpelli grafici e narratologici, rivolta a un pubblico giovane ma in grado di cogliere le sottigliezze e le piccole crudeltà della propria vita nella “vita generale” di Matteo.  Resta l’impressione che si sarebbe potuto far tesoro di un maggior spazio, ampliando tanto la storia quanto il vissuto e le relazioni del protagonista.  A ogni modo, si tratta di un’opera di impostazione fortemente militante, che solleva un quesito fondamentale: cosa accadrebbe se decidessimo di canalizzare tutta questa rabbia e di sollevare il pugno, anziché contro noi stessi, contro il potere materiale e simbolico del patriarcato?