Roberto Saviano / Impegno civile per la memoria

Roberto Saviano, Solo è il coraggio. Giovanni Falcone, il romanzo, Bompiani, pp. 588, euro 24,00 stampa, euro 14,99 epub

Con il trentennale, nel maggio 2022, dello spettacolare omicidio mediatico del giudice Giovanni Falcone, si sono moltiplicate le iniziative editoriali in ricordo del principale artefice del maxiprocesso che scoperchiò la cupola della mafia siciliana, interruppe per un certo tempo il legame tra questa e il potere politico-imprenditoriale, mostrò al mondo intero la forza dello Stato fino a quel momento ambigua. Giovanni Falcone catturò la fiducia di Tomaso Buscetta, lo trasformò da esiliato della fazione mafiosa perdente in una fonte insostituibile per conoscere i segreti di Cosa Nostra: affiliazione, rapporti tra i mandamenti, guerre interne, esecutori e mandanti di omicidi celebri. Dopo il maxiprocesso, nessuno poté più sostenere la non-esistenza della mafia – anzi, sembra oggi difficile credere che qualcuno potesse affermare questo fino agli anni Ottanta.

In questi trent’anni è andato in scena un processo di beatificazione, sia di Falcone che del suo collega Paolo Borsellino, assassinato in maniera altrettanto plateale poco dopo; i due giudici sono stati trasformati in icone positive da presentare alla buona coscienza della Sicilia e del paese, un esempio buono per gli studenti di tutta Italia. Ciò è facilitato dalla forza comunicativa delle immagini, prima fa tutte la foto dei due sorridenti, fianco a fianco, in atteggiamento confidenziale, un’immagine che esprime ottimismo e autorizza a credere che la mafia possa essere seppellita da questo sorriso. Ciò che rimane nel non-detto è che se la mafia poté colpirli, con l’aiuto materiale del terrorismo nero (come sta venendo fuori soltanto ora), è perché i due furono lasciati totalmente soli in prima linea contro i kalašnikov e il tritolo.

Il teorema dell’isolamento, si sa, risale al generale Dalla Chiesa, assassinato mentre era prefetto di Palermo: la mafia riesce a colpire coloro ai quali viene fatto il vuoto intorno, tale fu il suo presentimento quando si ritrovò a combattere Cosa Nostra “con gli stessi poteri del prefetto di Forlì”, e finì crivellato di colpi in auto insieme alla moglie. L’esempio più sfacciato, e a distanza di anni incredibile, del teorema dell’isolamento politico, morale, professionale, è Giovanni Falcone, come racconta Roberto Saviano in questo romanzo frutto di un gigantesco lavoro di ricostruzione. Perché i sicari di Riina potessero arrivare a colpirlo, malgrado l’imponenza e l’efficienza dell’apparato di scorta, fu necessario screditarlo, accusarlo di protagonismo e carrierismo, sminuire i suoi successi: e in questo concorse non tanto la politica, quanto forze avverse all’interno della magistratura, corrose da gelosia, invidia, timore di rappresaglie mafiose e collusione criminale. Gli italiani non amano gli eroi vivi — o per lo meno, tollerano in vita soltanto quelli che vorrebbero suscitano un’invidia materiale: Berlusconi, Briatore, Corona, tamarri che parlano il linguaggio dello stomaco, dei testicoli; chi vorrebbe essere al posto di un giudice che sfoglia scartoffie, passa il suo tempo in tribunale e finisce disintegrato da una carica di tritolo? La beatificazione, si sa, spetta ai martiri – e martire significa morto.

Mi auguro che questo romanzo contribuisca a sollevare qualche incrostazione dal corpo dell’antimafia ormai imbalsamato, consegnato al pantheon dei santi. Le premesse ci sarebbero tutte: il momento anniversario è favorevole; il nome dell’autore, oltre che di sicuro richiamo, è una garanzia (purtroppo anche a causa della vita blindata); il prodotto, infine, è eccellente. Perché dobbiamo dirlo: oltre a una maniacale ricerca dell’aderenza ai fatti – testimoniata da quasi cinquanta pagine d’appendice dove Saviano indica, capitolo per capitolo, le fonti di ogni scena, ogni citazione, ogni azione dei personaggi – è la scelta del punto di vista che risulta assolutamente vincente.

C’è, ovvio, Falcone con il privato, remore, pensiero e retro-pensiero, difetti e pregi, ma ci sono anche decine di personaggi minori che si ritagliano l’onore di una pagina, ognuno con i propri chiaroscuri, difetti, ossessioni. Persino i boss peggiori vengono trattati non come stereotipi scolpiti con l’accetta, bensì con un tentativo di immedesimazione che comunque non mischia le carte tra chi sta di qua, e chi ha invece scelto l’altra parte.

Solo è il coraggio è in sostanza un romanzo importante, un’opera d’impegno civile, di denuncia che indica chiaramente chi fece il vuoto intorno a un giudice che era un vanto per l’Italia, il cui metodo investigativo aveva fatto scuola in tutte le polizie del mondo; racconta chi smantellò il pool antimafia dopo il maxiprocesso, chi ostacolò la nomina di Falcone a capo dell’ufficio istruzione del tribunale di Palermo, chi bocciò la sua candidatura al Consiglio superiore della Magistratura, chi non volle che diventasse procuratore unico antimafia, i corvi, le cordate di magistrati, gli uomini di raccordo tra mafia e politica, l’intero sottobosco che in un modo o nell’altro, nascondendosi dietro la faccia inesorabile dello Stato, lavorò perché tutto cambiasse nella lotta a Cosa Nostra in modo che tutto rimanesse come prima.