In Carte correnti, ponderoso saggio edito da Fazi, Roberto Galaverni passa in rassegna non pochi problemi centrali per la poesia contemporanea, nel solco di altre due opere seminali apparse sempre per Fazi: Dopo la poesia (2002) e Il poeta è un cavaliere Jedi (2006): si tratta di tre libri di crescente impegno, che affinano un discorso sul metodo relativo alla poesia in sé (mai generalizzando spunti e temi) e sugli ultimi decenni in Italia nello specifico.
Il percorso metodologico di Galaverni si evolve in pratica da una raccolta di brillanti saggi unificati da un certo desiderio di “fare antologia” nel primo libro citato – che cadeva, del resto, nel pieno del fervore antologizzante di fine millennio, e che forniva coordinate che mi paiono ancora valide, per passare a una vera e propria Defense of Poetry con i crismi anche di una certa militanza, per approdare al metodo unificante di questo Carte correnti. Sempre tenendo i testi al centro della disamina. In Carte correnti “il filo conduttore, se uno ce n’è, riguarda appunto […] il processo di determinazione poetica del senso […] l’interdipendenza tra il senso come direzione e il senso come significato”. Non si tratta, viene ulteriormente precisato, di meta-poesia, ovvero poesie in cui l’Io poetico affronta il processo di creazione poetica, ma di testi che inglobano, nel proprio percorso testuale, l’idea di un percorso verso la verità della poesia – che sia totalmente allegorico (L’anguilla di Montale) o, più copertamente, metaforico (La malattia del’olmo di Sereni).
L’analisi si concentra su nove poesie capitali di attraversamento, vagabondaggio mentale più che fisico, scoperta, ma anche di erranza in territori indecidibili, non-luoghi, terre di nessuno (Magrelli, De Angelis), che forniscono profondi spunti di riflessione sul presente e non solo; in buona parte sono poesie molto note (si pensi all’Anguilla di Montale, un testo commentato quasi quanto l’Infinito) ma che permettono di sviluppare un’analisi che tocca vari nodi centrali nelle poetiche degli autori: Montale (due testi, a ribadire la sua centralità), Zanzotto, Sereni, Fortini, Pagnanelli, Pusterla, Magrelli e De Angelis), quasi a fornire una sorta di antologia sui generis della poesia degli ultimi sei-sette decenni.
Il filo conduttore più caratterizzante, che collega esplicitamente almeno le due poesie di Montale (L’anguilla e Barche sulla Marna) con L’anguilla del Reno di Pusterla (in Bocksten, 1989) è il rapporto fra due simboli e archetipi plurivalenti e ambigui come il fiume e l’anguilla, che Galaverni utilizza per inquadrare il divenire del testo in relazione alla visione del mondo che esso allegorizza, alla luce della poetica generale dell’autore e del valore di verità poetica che il testo mette in opera proprio nel costruire una dialettica fra materia e forma del contenuto che rappresenti e quindi metta in scena secondo specifiche strategie, il rapporto sia fisico che ideativo del poeta con lo spazio e il tempo.
Ovvio che da siffatta analisi emerga il livello allegorico e archetipico dei vari testi: ne sono esempi appunto l‘immagine del fiume (il divenire, lo scorrere del tempo), e dell’anguilla, col suo destino di riproduzione che bene allegorizza quello umano, ma anche con il suo movimento a ritroso, a risalire lo spazio ma soprattutto il tempo, verso le radici, le sorgenti, un punto di luce, o a discendere nell’abisso buio della morte). Nell’analisi de La malattia dell’olmo di Sereni emerge il valore simbolico dell’albero, radicato nel basso della terra e tendente alla verticalità trascendente; nel testo di Magrelli, Porta Westfalica, all’interno di una soggiacente e obliqua riflessione sulla vita, a un primo livello testuale il poeta situa concretamente l’Io poetante in un territorio in cui mappa e realtà non corrispondono, per avviare lungo il percorso dei versi un vero itinerario conoscitivo di cui il fiume può essere un soggiacente riferimento archetipico come percorso verso la conoscenza; Cartina muta di Milo De Angelis ribadisce e approfondisce il concetto della reticenza del reale a lasciarsi mappare e comprendere se non per poesia – all’interno di una idea di poesia, è chiaro, che dialoga con la tragicità di Lucrezio più che con il (cauto) positivismo dei cartografi.
Le scelte, quindi, non appaiono una intelligente per quanto banale “collezione di saggi” ma corroborano, da più punti di vista, il discorso centrale e le sue tesi: il modo in cui un testo sviluppa in maniera dialetticamente dinamica quelli che nella mente del poeta sono l’intuizione di avvio e un grumo di spunti tematici ad essa collegati, in relazione al situarsi, individuarsi e rappresentarsi nel mondo, nel segno di un “abitare poeticamente” che nasce dal dare i nomi alle cose. La modernità dei testi, ossia la loro rilevanza per i lettori di oggi sta proprio nella dialettica tra mito, simbolo e allegoria da un lato e concretezza dell’odierno vivere in un mondo indecidibile.