Roberto Cotroneo / Il cielo grigio di Alessandria

Roberto Cotroneo, La nebbia e il fuoco, Feltrinelli, pp. 144, euro 16,00 stampa, euro 9,99 epub

L’autore ricorda. Con i palmi delle mani affiancati, egli raccoglie la città della sua infanzia, animata da vicende note (poche, pochissime) e meno note (moltissime, ma importanti) e ce le fa vedere. Prima però le illumina con uno sguardo avveduto, sensibile e raffinato. Le racconta per come erano affinché possiamo capirle e affinché possiamo utilizzarle anche per il nostro presente, ovunque ci troviamo. Tra Proust e Freud, Roberto Cotroneo, chiede però al lettore un certo impegno e una qualche preparazione. Non bastano le cartoline per vedere e ricordare; serve qualcosa di più, serve entrare in sintonia con emozioni nascoste che ci possano collegare con luoghi, cose e soprattutto con le persone.

In questo romanzo, dalla penombra degli anni del passato, dai sensi stimolati dal contatto con le cose, emergono figure che a buon diritto furono conservate nel cuore e nel ricordo di chi scrive. Innanzitutto Aldo, il “maestro”. Insegnante, riservato, elegante, discreto, ex comandante partigiano venuto dal sud (in Piemonte dagli Appennini in giù è tutto sud) forse da Frosinone, in realtà da una piccola località limitrofa, il Piglio, famosa anche per un vino molto “suadente”.

Aldo avvia i suoi ragazzi, l’autore in particolare, alla grande conoscenza umanistica, colta, selezionata di cui Cotroneo fa un buon uso offrendola generosamente tra le righe del libro, fino alla fine, con tre pagine di bibliografia. Ma non c’è niente di dottorale in questo cammino. C’è piuttosto un romanzo della memoria molto sentito che fin dal titolo si dichiara per i contorni non nettamente esatti. Un romanzo moderno, in definitiva: La nebbia e il fuoco. La nebbia è quella di una giornata di molti anni fa, quando a Bassignana, un piccolo centro sul fiume Po a pochi chilometri da Alessandria, un gruppo di partigiani fu intercettato da una squadra di repubblichini. Ne nacque una sparatoria. Così ci racconta Cotroneo: “La nebbia dilatava il fuoco e i colpi di mitragliatore erano stelle pulsanti dentro un universo sconosciuto”.

Come all’interno di quella nebbia, la memoria sembra rivendicare e proteggere il diritto all’oblio, ma in realtà è la stessa città di Alessandria che nei decenni, forse nei secoli, ha assunto la postura della riservatezza, del basso profilo, fino quasi a negare a sé stessa i momenti belli della vita, sociale e individuale. Senza differenza tra quelli “eroici” e quelli più semplici della vita quotidiana. Da una parte il bar Baleta che a trent’anni dalla chiusura è stato ricordato dalla statua malriuscita di una figura che gioca a biliardo. Oppure quelli che ci consegna la storia di una città che per prima ha issato la bandiera tricolore dell’Italia unita del Risorgimento ma anche quelli dell’azienda famosa nel mondo dei copricapi italiani della Borsalino che impiegava oltre 2500 persone, quasi tutte donne, capacissime nel lavorare le pelli di coniglio. Alessandria città di artigiani e città industriale quando questa convivenza produttiva era ancora possibile. Infine anche l’oblio colpevole della rimozione dell’antisemitismo e del cancellamento della presenza ebraica in città, una modalità in cui la “riservatezza della memoria” diventa omertà e mistificazione.

Su tutto il libro aleggia, lieve e affettuoso, il senso del ringraziamento verso il “maestro” Aldo. È lui che ci ha guidato in questo cammino nel passato e nella memoria, generoso verso l’autore che a sua volta si è reso generoso verso il lettore. È questo il vero segreto dell’insegnamento, la sua forza perenne e nascosta che travalica di molto i confini delle istituzioni e innerva tutte le trasmissioni di sapere in modo mai burocratico. Verso la fine il racconto si concede una strizzatina d’occhio e ci si ricorda, complici tutti, che Alessandria fu anche la città natale di uno dei più grandi giocatori italiani di calcio di tutti i tempi, quel Gianni Rivera, pallone d’oro nel 1969, che portò la nazionale a vincere i campionati europei a Roma nel 1968 e il secondo posto ai mondali nel 1970. Ma non c’era ancora il chiasso delle televisioni commerciali e il gioco del calcio era diverso.