Roberto Cotroneo, prima ancora di diventare scrittore di narrativa e di saggi, prima di essere l’editor di Neri Pozza e ora editor della narrativa italiana del nuovo marchio Feltrinelli Gramma, prima di tutto ciò, era un giornalista, sicuramente un grande critico dalla penna obiettiva, con una chiara propensione alla visione per il “bello”. In quei primi anni di carriera scrisse, nel 1994, una lettera a suo figlio Francesco con un urgente messaggio da comunicargli, destinato, come si può ben vedere, a durare ancora dopo trent’anni: «che la letteratura… non è solo un gioco intellettuale, ma è l’unico modo per capire il mondo, l’unico per inforcare le lenti dell’ambiguità, cadute ormai in disuso».
Cotroneo, in una mattina d’estate, osserva suo figlio: Francesco è piccolo, i suoi libri sono fatti di immagini variopinte con colori vivaci, le storie sono animate da animali, da paesaggi, ma nelle mente di lui si popolano già incastri di micro-narrazioni che si possono inventare, e ricreare. In quel misterioso linguaggio universale che hanno i figli, Francesco chiede con innocente e curiosa determinazione a suo padre di leggere una storia, o chissà, non sapendo neanche il significato del leggere, gli dice solamente: storia.
L’autore pensava che proprio da questo potesse prendere spunto una lettera, ma quello che forse non sapeva, o che nemmeno sperava, era che a distanza di così tanti anni le sue parole sarebbe rimaste ancora cariche di significato; che i suoi suggerimenti, la sua visione della letteratura e del mondo delle arti, sarebbero stati ancora un fresco e, allo stesso tempo, infuocato inno alla comprensione più pura e sfaccettata degli insegnamenti di vita che il mondo della lettura e della scrittura possono donare a un individuo.
Suddivide il saggio in capitoli e ogni capitolo reca come titolo una parola che viene rappresentata e legata ad alcuni dei più grandi testi della letteratura mondiale; precisando che “la letteratura non va temuta” invita il figlio, e quindi noi tutti, ad abbracciarla, non eseguendo mai un esercizio intellettuale presuntuoso, consiglia di correre incontro a tutti i libri, anche quelli che possono sembrare faticosi e irraggiungibili, con animo curioso e sereno, in quanto ogni testo ha una chiave che apre una porta, e sono la nostra curiosità e la nostra fiducia che diventeranno un prezioso e sempre diverso grimaldello.
La scoperta dell’inquietudine sarà un viaggio insieme a Stevenson con L’isola del tesoro. Il capitolo inaugura il primo approccio letterario di Francesco, non in quell’erronea nomea di apostrofare questo capolavoro come letteratura d’avventura per ragazzi, ma invece, come perfettamente spiegato da suo padre, in una scalata fulminea tra il mondo dell’infanzia, quello dell’adolescenza e infine la presa di coscienza del mondo degli adulti. L’isola del tesoro è il primo immergersi in quella tensione narrativa che ha inaugurato fucine per le generazioni a venire. «Capisci Francesco perché L’isola del tesoro è un libro importante? Perché ti insegna che l’avventura non è altro che un rito di passaggio, che le avventure della vita non servono a scoprire qualcosa di nuovo, non appartengono al fantastico, al sogno, ma servono a diventare grandi, costi quel che costi».
Poi c’è il capitolo Tenerezza, e qui Cotroneo ci sorprende davvero, perché è inatteso e imprevedibile associare il termine tenerezza al mai intramontabile caposaldo di ogni generazione di adolescenti, Il giovane Holden (The Catcher in the Rye), del più sfuggevole degli autori del novecento: J.D. Salinger. «È il libro dove un adolescente è alla ricerca disperata di generosità ed è un trattato contro l’egoismo, contro un mondo intollerabile fatto di mediocrità spacciata per grandezza, di retorica che serve a nascondere pochezze di ogni genere». Tenerezza e trasgressione, un trasgressivo tenero, alla fine forse un catcher è proprio quello.
Il capitolo Passione è invece, a mio avviso, per la scelta dei testi proposti, il più inaspettato; è quello più articolato, forse più tecnico, ma per gli amanti della poesia e dei versi sarà indubbiamente estremamente gratificante: The Love Song of J. Alfred Prufrock, e The Waste Land di T.S. Eliot. Cito solamente due frasi di Cotroneo, in quanto da queste traspare tutta la sua fiducia sul ruolo della poesia e del suo valore come irrinunciabile libretto di istruzioni della vita. «fidati di chi porta sempre con sé un libro di poesie», e «E lo faremo non tanto perché la poesia è qualcosa che nobilita lo spirito. No. Perché la poesia serve a capire il mondo».
Il soccombente di Thomas Bernhard, e il film Un cuore in inverno del regista francese Claude Sautet ci aiuteranno a comprendere il delicato e difficile tema del talento. «Con lui dovrò spiegarti la cosa più difficile: il talento, l’essere e non l’avere: l’essere senza dover diventare; la fatica di confrontarsi con gli altri, la fuga dalla mediocrità ma senza perder mai di vista l’umiltà, e il genio e l’invidia e ancora la musica, la grande musica».
Cotroneo è un uomo eclettico, scrittore e fotografo, ma in queste pagine capiamo anche la grande ammirazione e la grande cultura che ha per il mondo musicale. Attraverso lo strumento del pianoforte – vivo strumento per chi lo conosce e lo suona – dalla cui struttura, il legno, le corde, l’anima, grazie alla partitura di note, prende vita narrando storie sempre diverse. La sintassi degli spartiti ci narra anch’essa di alcune esistenze basate sulla determinazione e la volontà per controllare e potenziare talento e genialità. «Il problema è sfiorare la genialità. Non guardarla da lontano. Guardarla da lontano è una cosa tollerabile; sfiorarla è qualcosa che sconvolge».
In questo saggio troviamo tanti nomi della letteratura, da Borges a Calvino, da Virginia Woolf a Lawrence Sterne, svariate opere, come innumerevoli citazioni; è un saggio prezioso, del quale mi sono domandata più e più volte l’effetto e l’aiuto che avrebbe potuto darmi se l’avessi letto trent’anni prima. É una lettura indispensabile per qualsiasi lettore, anche per qualsiasi scrittore, perché non deve esservi distinzione quando si crede in maniera così viscerale nel mondo delle parole.