Roberto Calasso / Agli uomini secolari l’Agnello non basta

Roberto Calasso, Sotto gli occhi dell’Agnello, Adelphi, pp. 107, euro 13,00 stampa, euro 6,99 epub

L’esordio di Sotto gli occhi dell’Agnello è fiammeggiante: Roberto Calasso ha idee precise sui pensieri degli uomini che riguardano il loro Dio. L’uomo secolare non sa bene come prendere la sua molteplicità e le sue azioni. L’Agnello è sacrificato perché il mondo potesse funzionare o perché Iahvè è convinto che l’umanità non possa prescindere da un peccato primordiale, e dunque da riscattare? Calasso si pone di fronte al Polittico di Gand, dipinto da Jan van Eyck (con l’aiuto del fratello Hubert) fra il 1426 e il 1432. Nel pannello centrale l’Agnello mistico, in piedi sull’altare, è trafitto da un foro circolare da cui fuoriesce un getto di sangue, copioso, andandosi a versare in una coppa. Sembra la ferita causata da una pallottola più che da una lama, e Calasso si chiede perché, si chiede come possa restare ben ritto sulle zampe senza stramazzare, e fissandoci con occhi enigmatici. E, soprattutto, nessuno ci dice perché viene ucciso. Molte domande, quasi a ogni pagina del meraviglioso libretto postumo – ma portato a compimento prima della sua scomparsa, come altri scritti del creatore di Adelphi – dove risiedono ininterrotte riflessioni su questa misteriosa e ricorrente presenza nella storia umana fin dai tempi biblici con i destini che ben conosciamo.

Vittoria o sconfitta dell’Agnello che sembra non accorgersi di quanto gli è inflitto? Primigenio quesito, irredimibile perfino nella sua essenza filosofica e cristologica, a cui Calasso mai ha fatto mancare i suoi immensi studi: dalla Rovina di Kasch al Libro di tutti i libri. E che nelle pagine dell’affilato volumetto riprende con dinamismo e ammicchi sapienti. L’Apocalisse, spiega lo scrittore, rioccupa il tema, sfigurando in finale i Vangeli, poiché nessuno lì potrà evitare d’essere travolto dalla “guerra nel cielo”, neppure i Profeti. L’Agnello si fa uccidere, ma poi che accade? Giunge il secondo Agnello, così viene definito da Giovanni Battista guardando a Gesù. E dopo un po’ di tempo, da quando Gesù chiese “Che cosa volete?” anche lui viene ucciso. E quindi nulla basta a scongiurare quella “guerra nei cieli”: scrive Vito Mancuso, in un articolo a proposito, che il mondo ha “proseguito incurante” nonostante la convinzione del Cristo che qualcosa doveva totalmente trasformarlo dopo il Golgota. Così altre immolazioni sono avvenute, e la storia anche in questi giorni ci dimostra quanto le manifestazioni dell’uomo secolare sembrino esenti da qualunque intervento divino.

Certo, i canoni mutano col trascorrere dei secoli, e mitezza o disastri si alternano all’interno delle Scritture, e i mondi infine appaiono quasi sempre ostili (o addirittura frantumati) sotto i piedi delle genti, dove profeti veggenti architetti manovali e poeti si trovano immersi nell’autodistruzione così come “l’Apocalisse è l’autodistruzione del cristianesimo” (pag. 47). Calasso indica l’Agnello che, poggiato su un altare, guarda davanti a sé con occhi impenetrabili la distesa verde popolata da cortei. È inconfutabile: l’uccisione era necessaria, altrimenti “la macchina del mondo non si sarebbe messa in moto”. Sembra fuori da ogni logica questa serie inconclusa di esecuzioni, e davvero non si sa cosa pensare. I nessi fra distruzione e civiltà nella storia umana sono misteriosi, per qualche attimo appare la figura di Maria che sempre viene rappresentata, nell’Annunciazione, intenta a leggere un libro. Ecco un altro “dardo” di sapienza a cui Calasso ci conduce: “Non c’è Maria senza il libro”. Da un certo secolo in avanti questo è sempre più vero, dunque una doppia coppia avviene nel mondo, Gesù e l’Agnello, Maria e il libro. Forse tali presenze aiutano a riprenderci dall’incertezza assoluta data dall’Apocalisse. Si dà altresì la bellezza del leggere nella sferza delle potenze del mondo, che includono nella storia l’uccisione come l’inizio e la fine d tutto. Ecco come, col proprio libro, Calasso nella poltiglia epocale pone tutti di fronte all’inevitabile “non c’è nulla che vada oltre”.