Roberto Calasso / Kafka, al di là della letteratura

Roberto Calasso, L’animale della foresta, Adelphi, pp. 146, euro 14,00 stampa, euro 7,99 epub

Roberto Calasso ha dedicato gli ultimi mesi alla questione del Nemico in Kafka, là dove il bestiario dei racconti finali, tre lunghi racconti, sigilla ciò che brulica intorno all’uomo, dando spazio a un malessere familiare quanto impacciato. Un cane fra i cani diventa qualcosa di diverso, come lo scrittore editore spiega: niente di simile si ritrova nella giovinezza di Kafka, tanto meno di aspetto biografico. Gli animali dispersi sono quelli con cui lo scrittore praghese parla, all’interno di luoghi labirintici con cui il confronto non dà adito a speranze. Cani nelle tenebre, musicanti, dove qualunque direzione è vaporosa, e cos’altro può guidare se il chiarore è soltanto in alto, e la musica sprigiona solo dal basso, e sempre “forte come un dolore”.

In questo libro si coglie l’indecenza vista da Kafka, di più sentita, quando le uniche domande sono alla rovescia, così come il mondo nei primi anni del Novecento. La legge violata sembra rappresentare la parte superflua degli uomini, così come qualche anima comincia a intuire nei primi anni del Duemila. Calasso indaga sulla censura mentre predispone gli scritti da pubblicare dopo la sua scomparsa, attento alle conseguenze che già il destino dell’arte faceva supporre nel secolo scorso. Qualcosa di disperato, oggi ancora più incolmabile pensando che nelle generazioni odierne “la memoria è sovraccarica”. La Grande Guerra finita da poco ribalta nel tempo presente un calco in negativo e il futuro non appare più tanto remoto. Ma si sa come Calasso abbia costruito un baluardo costruttivo in cui l’Europa centrale ha espanso orrori ma anche lucidità psichiche scoperchianti lo spirito cattivo del continente.

E nell’attualità grezza stringe al muro il Nemico kafkiano con intorno gli animali “brulicanti”, ritorna alla nostra attenzione quell’autorità che condannava a farsi strappare l’anima cerebrale dal popolo dei topi. Calasso ci parla dei tre racconti lunghi composti da Kafka negli ultimi mesi della sua vita (Ricerche di un cane, Josefine la cantante o Il popolo dei topi, La tana), dove non ci sono uomini perché alla fine “si parla di mondi che non hanno bisogno degli uomini”. Dopo l’abbandono de Il processo e de Il Castello, la realtà diventa una intenzione, una tana voluta dal costruttore, già esistente. E tutto si complica quando la domanda diventa: a cosa serve, perché occorre, la tana? Capitolo dopo capitolo Calasso inoltra sé stesso nei “modi di vita” dei tre racconti di Kafka potendone percepire la mescolanza di odori e l’imponenza labirintica della struttura. Ma forse lo scrittore cercava un passaggio nella pietra che si stringeva attorno alla casa di Milena. Decisive le ultime pagine dell’Animale della foresta, quando finalmente capiamo perché Kafka torna agli animali, dopo il “crollo”, e l’incompiutezza dei romanzi. C’era qualcosa al di là della letteratura, probabilmente: secondo Calasso “una certa dottrina segreta, ‘una cabbala’, la punta arroventata dell’ebraismo”. Questo è l’ultimo confine.