“Non so, alla fine è tutto così, senza senso”, recita una frase estratta da Disastri esistenziali e spese folli, che ben potrebbe essere posta quale epigrafe all’intero libro. L’assurdo permea la narrazione, diluendo il tragico in una risata colma di amarezza. Così alcuni soldati si accaniscono sulla porta di ferro di un garage scoprendo infine che all’interno non c’è nulla, e che dietro l’angolo si trova un accesso agevolmente aperto. Metafora dell’inutilità di ogni sforzo umano? Durante un bombardamento una ragazza ha il pensiero fisso di assaggiare un formaggio che si è portata nello zaino. Il confine fra la vita e la morte è così labile che ci si aggrappa a cose apparentemente insignificanti, anche nei momenti più terribili. Un soldato non riconosce un suo compagno, forse perché non era più il tipo che aveva conosciuto? Un uomo prova la sensazione di non essere più sé stesso. La guerra disintegra le cose e le persone, i cui volti scompaiono per lasciare posto al nulla. La dissoluzione della Jugoslavia echeggia negli animi dei personaggi.
Robert Perišić mostra le ferite aperte lasciate dal conflitto, anche in quelle storie ambientate in scenari post-bellici. Tutto appare in movimento, nulla offre appiglio al desiderio di stabilità. Per andare a trovare un amico ricoverato per disintossicarsi dalla droga, due tizi si trovano circondati da un manipolo di ragazze disturbate armate di coltello. Si scoprirà poi che il tipo, vergognandosi di fare il muratore, aveva inventato la storia della disintossicazione. Un altro aspetta il temuto ritorno del padrone di casa, come in un testo di Beckett, e attendendo si fotte il cervello. Un uomo, costretto alla catena di montaggio cerca di pensare a qualcos’altro. Durante l’ispezione si fa trovare sdraiato di proposito. Vorrebbe colpire il padrone con una frase memorabile, ma riesce solo a perdere il suo bonus economico.
Piccole storie, che nascondono un paesaggio umano di enorme vastità. Due esattori si portano dietro un bambino che non sa dire una sola parola, a parte sbiascicare confusamente quello che per alcuni suona come il nome del presidente Tuđman, sullo sfondo di una Croazia dove non ci sono più nemmeno le partite di calcio importanti, dove tutto è noia e irritazione. Reduci di guerra si muovono nelle consuete architetture sovietiche, nel buio e nel freddo, e scoprono di avere paura. Sporadiche variazioni spostano l’attenzione dalla Croazia a scenari geograficamente distanti, ma apparentati da analoghe atmosfere emotive. La varia umanità che popola le pagine del libro appare condannata all’attesa, al disagio e alla follia. La tragedia dell’esistere può trovare momentanea requie solo in una risata, in quello scoppio emozionale che avvicina le persone che non si capiscono, smarrite in un universo senza Dio.