Aldous Huxley, Moksha. Scritti sulla psichedelia e sull’esperienza della Visione, a c. di Michael Horowitz e Cynthia Palmer, pref. Albert Hofmann, intr. Alexander T. Shulgin ed Edoardo Camurri, tr. Mariagiulia Castagnone, Mondadori, pp. 332, euro 20,00 stampa, euro 8,99 ebook
recensisce PAOLO PREZZAVENTO
C’è stato un momento nella storia dell’Umanità, tra la fine degli anni cinquanta e l’inizio degli anni sessanta del Novecento, in cui tutto sembrava possibile. In quel periodo, a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta del XX Secolo, in cui si credeva che l’umanità potesse entrare in contatto con civiltà extraterrestri, che fosse possibile instaurare una società basata sulla pace e sull’amore che ripudiasse la guerra, che le nuove droghe psichedeliche, soprattutto la mescalina, l’LSD e la psilocibina, potessero spalancare le «porte della percezione» di cui parlava William Blake e portare alla scoperta di un nuovo mondo interiore, di un intero continente sommerso della psiche.
Di questo grande momento di luce, al netto di tutta la sua spontaneità e ingenuità, luce che venne poi brutalmente spenta dapprima con l’assassinio di John e Bob Kennedy, di Martin Luther King e di Malcom X, poi con il gangsterismo al potere della Presidenza americana di Richard Nixon, successivamente con l’elezione a Governatore della California dell’ex-attore ultraconservatore Ronald Reagan, di questo momento dicevamo, Aldous Huxley fu certamente uno dei principali protagonisti.
Questo libro, Moksha, parola che in sanscrito significa «liberazione», e sulla copertina appare circondata da colorati disegni psichedelici insieme al nome dell’autore, ripropone alcuni dei suoi scritti minori rispetto ai saggi più celebri come Le porte della percezione (1954) e Paradiso e Inferno (1956); una serie di saggi che ci riportano indietro nel tempo e ci aiutano a comprendere un ben preciso periodo storico in cui sembrava che si potesse rifondare l’umanità dalle radici, estirpando l’odio, la violenza e il razzismo.
Di fronte ai fasti di questo periodo straordinario appaiono come ben poca cosa e del tutto tardivi i tentativi successivi di un altro protagonista di quel periodo, Timothy Leary, di approdare ad un nuovo cyber-umanesimo o addirittura ad un trans-umanesimo cibernetico, oppure i tentativi di riportare in auge lo spirito di quell’epoca ormai lontana da parte di Terence McKenna (morto all’inizio degli anni 2000) e di qualche insospettabile psichedelico di casa nostra, come il giornalista RAI Edoardo Camurri, che ha scritto una breve Introduzione per l’Edizione Italiana di Moksha. Ma si tratta appunto di tentativi tardivi, fuori tempo massimo, cui può credere ancora qualche vecchio hippy nostalgico, ormai almeno settantenne. Se all’epoca del flower power si poteva esser certi che il fumo o l’LSD avrebbero portato gli adolescenti di allora nell’iperspazio, in un viaggio, un trip, dal quale prima o poi potevano tornare indietro, pur con qualche problema di rientro (alcuni sono partiti, ma non sono più tornati), oggigiorno, tra la marijuana geneticamente modificata, la cocaina cotta, la ketamina, l’MDMA e varie altre droghe, il rischio di danni permanenti al cervello e di un collasso del soggetto che assume queste nuove droghe è molto più alto.
Ormai è diventato un luogo comune affermare che chi sta troppo tempo sui social oppure rimane intrappolato per ore e ore nella realtà virtuale dei videogiochi finisce per sviluppare una nuova forma di dipendenza. Ma c’è di più. In qualche luminoso ufficio della Silicon Valley – come ci ricorda Edoardo Camurri – è già stato sviluppato un algoritmo che in qualsiasi momento può impadronirsi della nostra identità e cominciare a navigare in Internet, rispondere ai messaggi degli amici su Facebook, su Twitter o su Instagram, in modo assolutamente simile all’originale, cioè a noi.
Di fronte a questo pericolo di diventare tutti quanti come delle scimmiette da laboratorio, sottoposte alla spietata logica dello stimolo-risposta, dello stimolo-ricompensa, secondo la psicologia comportamentale che prende le mosse dagli esperimenti di Pavlov ed è stata perfezionata in America fin dal secondo dopoguerra, è necessario ancora una volta andare a rileggere questi scritti straordinari, che ci insegnano qual è la strada per uscire (almeno temporaneamente) dall’incubo di questo mondo. Nessuno ha più voglia di intossicarsi come è accaduto ad un’intera generazione negli anni Sessanta e Settanta, ma è necessario mantenere quel punto di vista particolare sulla realtà, il punto di vista dell’alienato, del disadattato, del dropout, se non vogliamo regredire tutti quanti agli albori della civiltà umana.
Basta accendere la televisione e ascoltare le ultime notizie, per ripiombare nella più squallida delle realtà, nella nostra realtà quotidiana, condizionata dalla dittatura del rating e dello spread. Eh sì, bisogna ammetterlo: oggigiorno la tentazione di «tirarsi fuori» è ancora più forte.
Cosa fare? E’ semplice: in attesa che arrivi dal corriere o in libreria la vostra copia di Moksha, basta prendere dal vostro scaffale o in biblioteca un vecchio numero della Rivista Pianeta/Planète – che dava molto spazio alla cultura psichedelica e ad interventi dello stesso Huxley – iniziare a sfogliarla, poi chiudere gli occhi e cominciare a sognare di vivere in quell’epoca di luce in cui eravamo tutti più ingenui, spensierati e felici. Allora anche a voi sembrerà di tornare indietro nel tempo e di ritrovarvi, in un luminoso mattino di maggio del 1953, a Los Angeles, a casa di Huxley, a osservare come se fosse la prima volta i colori di quei magnifici gigli torcia.
Nota sulla Traduzione
Non è facile tradurre Huxley. Occorre una vasta cultura che spazia dalla Letteratura alla Scienza, compresa una buona conoscenza della chimica delle numerose sostanze stupefacenti citate nei testi. Ma soprattutto non è facile tradurlo quando il testo diventa una pura e semplice trascrizione dei suoi deliri verbali mentre era in preda alla mescalina, all’LSD o alla psilocibina. Per cui solidarizziamo ampiamente con la traduttrice Maria Giulia Castagnone, che è riuscita in questi casi a rendere il testo di Huxley, di sua moglie o dei suoi corrispondenti, in modo soddisfacente. Occorre però sottolineare che non sempre i testi risultano uniformi dal punto di vista della traduzione. Ad esempio, il celebre slogan «Tutti i vantaggi del Cristianesimo e dell’alcol, e nessuno dei loro difetti» sul retro-copertina, all’interno del testo diventa «tutte la virtù dell’alcol e della cristianità e nessuno dei loro difetti» (p. 116). La celeberrima citazione di Blake sulle porte della percezione («the doors of perception») non è stata sempre tradotta nello stesso modo. A volte le porte della percezione si aprono, a volte si spalancano, altre volte invece vengono «pulite» o addirittura «lucidate» (è la traduzione letterale del verbo «cleanse»), ma ovviamente chi volesse rilanciare questo vecchio slogan dicendo che dobbiamo «pulire» o «lucidare le porte della percezione» si coprirebbe di ridicolo, o quantomeno dovrebbe giustificare in una corposa Nota del Traduttore questa sua scelta controcorrente.
Anche il titolo e alcuni celebri versi della famosa Ode di William Wordsworth «Intimations of Immortality from Recollections of Early Childhood», vengono ogni volta tradotti in modo diverso, a volte con «Intuizioni di immortalità», altre volte con «Presagi di Immortalità», e il suo verso più famoso con «qualcosa infuso molto più in profondità» («something far more deeply interfused»), che si alterna a «qualcosa di ancor più profondamente infuso». A pagina 231, invece, il titolo della famosa Ode di Wordsworth appare monco: «Presagi di Immortalità da reminiscenze della prima». Manca «infanzia». Buona la prima, verrebbe da dire…
Nella Lettera a Timothy Leary del 6 Febbraio 1961, Huxley parla di un esperimento del Dottor Janiger, «che ha somministrato dell’LSD a 100 pittori, che hanno dipinto prima, durante e dopo averlo assunto. I loro lavori sono stati apprezzati da un pannello di critici d’arte» (p. 223). No comment.
Infine, continuiamo a preferire la traduzione «Ritorno a Il mondo Nuovo» rispetto a «Il Mondo Nuovo rivisitato».