Nelle sottili strisce della vita, nelle sottigliezze, Marcenaro realizza da molti anni una serie di quaderni in cui attestazioni iconografiche e biografie di scontrini e foglietti diventano un planisfero inarrivabile della letteratura. Dai recessi carnali di Rimbaud e Verlaine ai Cimiteri visitati come città dei morti più vivi dei vivi, fino ai dagherrotipi di personaggi europei, mostra vivente di ritratti che contrastano la “scellerata disattenzione” attuale.
In Scarti, stagnole, bustine, ticket di filovie e tram e treni e alberghi, tutto serve all’autore per confessare ricordi mondani e frivolezze austere, memorie e smemoratezze di scrittori e nullafacenti di riguardo, fra un secolo e l’altro della nostra cara Europa lazzarona. Marcenaro ci spiega che la sua poetica della “rumenta” (termine caro ai genovesi almeno quanto la “monnezza” romana) accoglie, fra umido e ingombri rugginosi, fra putridumi e pungiglioni virali, misteri e redazioni letterarie sublimi. Saranno fissazioni, scherzi, ma presto ci rendiamo conto che vale più uno spazzolino di Proust abbandonato sui Moli di Genova che una nota devozionale sulla madeleine buttata giù da un laureando d’imberbi speranze.
Le concatenazioni scoperte dentro un manifesto teatrale (d’opera, ancor meglio), inseguendo ombre di corpi reali davvero esistiti, dànno un piacere eloquente di rara intensità. Scopre in noi le stesse fissazioni per quel catino odoroso che raccoglie i resti delle giornate sonanti o pigre o redditizie di flâneur e scrittori e artisti (anche imperatori e regine) più o meno maudits più o meno eccelsi più o meno pessimi. E ci avvediamo che a lato di opere e operette circola una miriade di arredi e storielle finite in corrispondenze segrete e in diari intimi e pubblici. Gli archivi collettivi e personali ne sono zeppi, mancano soltanto tipi di mente non pignorata capaci di recuperarli. E divertenti guerrieri assatanati per la carta ingiallita, dall’occhio lustro e svelti di mano, prima che i batteri digeriscano per sempre queste montagne di casino cartaceo.
Si va dai sublimi foglietti impressi con poesie che Kavafis porgeva a pochi eletti, al fotobook ante-litteram della più che dimenticata mezzosoprano, elogiata da D’Annunzio, Tina di Angelo. Dai misteriosi, forse opera di un ballista, biglietti da visita di Arthur Rimbaud ai vagabondaggi epistolari di Bobi Bazlen. Non so quanti Marcenaro frequentino le italiche sorti. Ma quello che varca l’atrio della stazione di Piazza Principe non ha nessuna intenzione di bonificare gli scaffali, né i cassetti di casa sua. E, per fare un esempio, se Montale additava Sbarbaro come un “estroso fanciullo”, il nostro autore scopre invece uno Sbarbaro capace di guardare verso Campana come fosse l’ombra di Baudelaire o un Rimbaud redivivo.
8 Settembre 2017