Ricette semplici segna l’esordio narrativo nel 2001 di Madeleine Thien, nata a Vancouver da padre cino-malese e madre di Hong Kong. La pubblicazione le vale l’elogio della connazionale Alice Munro e la finale nel Commonwealth Writers’ Prize, mentre in Italia iniziamo a conoscere Madeleine Thien solo nel 2006 con l’uscita di Certezze (Mondadori, 2008) a seguire L’eco delle città vuote (66thand2nd, 2013) e, nel 2017, Non dite che non abbiamo niente (66thand2nd).
Le ricette della Thien non sono affatto semplici: come lance acuminate colpiscono nel profondo l’animo del lettore sottolineando le problematiche comuni che emergono nelle relazioni parentali e sentimentali. Un padre visto dagli occhi della figlia che lo osserva mentre cucina il riso, la sua figura autoritaria che crea soggezione e sudditanza in una bimba che lo scruta con ammirazione ma in lontananza. Una madre che scappa con le tre figlie e l’amante, una fuga descritta dalle bambine che imparano a conoscere quello che diverrà il secondo compagno della madre, nei pomeriggi dopo la scuola nel giardino di casa, inconsapevoli di ciò che sta accadendo sotto i loro occhi. Quando la verità cadrà loro addosso una sera, mentre la madre fa le valigie in fretta e furia, le reazioni così come le personalità saranno ben diverse l’una dall’altra. Le vie da percorrere sono solo tre: accettare una persona nuova, ricostruire un rapporto con un padre che le ha cresciute ma che non ha saputo vedere, o ribellarsi e scappare lontano da tutto.
Un rapporto morboso di amicizia tra due adolescenti che si interrompe bruscamente, morbosità dovuta ad un legame difficile di una delle due ragazze con il padre. Una moglie innamorata trova una lettera del marito indirizzata a un’altra donna, messaggio in cui confessa di amare la stessa donna che morirà di lì a breve in un incidente d’auto, lasciando un enorme punto interrogativo nella coppia. Due bambine consegnate dal padre a una madre affidataria perché non più in grado di accudirle, mentre la madre naturale, figura particolare e donna alcolista, le abbandona di punto in bianco per sparire nel nulla. Le bambine non rinunciano al pensiero della madre, e ancorate ai ricordi vogliono ricostruire il nucleo famigliare tornando nella vecchia casa che ora è abitata da una nuova famiglia.
Harold, invece viene spedito in punizione sul tetto di casa allo scopo di fortificarsi. Crescerà con molte insicurezze e alla fine troverà rifugio nella relazione con Thea, madre di Josephine, uno spirito libero per definizione che vive costantemente con un mare agitato nel cuore, un senso di inquietudine che la porterà in perenne migrazione.
Il brano conclusivo di questa raccolta è come un’ultima pennellata su un quadro, un lungo racconto a cui si arriva con una maturazione narrativa e il giusto equilibrio strutturale e psicologico. Gli ingredienti sono molto simili tra loro ma dosati con cura: malinconia, cinismo e sofferenza che mescolati ad hoc si equivalgono sulla bilancia delle emozioni.
La parte finale del libro sembra cogliere il lato biografico e umano dell’autrice, i molti ostacoli affrontati e superati come il viaggio dei genitori dall’estremo oriente fino al Canada, le varie attività commerciali fallite e i mille sacrifici di una coppia con diverso idioma e stile di vita, un matrimonio fallito e uno in bilico. Il fiato è sospeso fino all’ultima riga e il finale tanto atteso arriva come un treno ad alta velocità.