Riccardo Ielmini / Un luogo molto affollato

Riccardo Ielmini, Spettri diavoli cristi noi, Neo Edizioni, pp. 168, euro 16,00 stampa

L’adolescenza sembra essere un tema inesauribile, fors’anche più dell’infanzia. Da un lato essa è universale, perché tutti siamo stati adolescenti, e certi problemi di quell’età di passaggio tra infanzia e giovinezza li abbiamo affrontati tutti; dall’altro, l’adolescenza è già un periodo in cui ci si comincia a evadere dalla famiglia, per cui risente del clima dell’epoca in cui siamo transitati dai 13 ai 19 anni – ne deriva che ogni adolescenza ha la sua colonna sonora, le sue mode, le sue ambizioni, le sue fissazioni, la sua atmosfera. Un conto è esser stati adolescenti dal 1940 al 1946, ovviamente, altra cosa esserlo stati tra il 2010 e il 2016 – in entrambi i casi c’è sempre al centro l’idea del rito di passaggio, di come siamo usciti dall’infanzia e siamo precipitati nell’età più o meno adulta, però intorno c’è un diverso mondo.

Questo discorso vale in particolare per Spettri diavoli cristi noi, che non viene facile etichettare romanzo o raccolta di racconti. Ielmini si piazza sulla linea di confine tra le due modalità di narrazione: tutto avviene in un unico luogo, quella che lui chiama Contea (una zona di confine montuosa tra Italia e Svizzera, assolutamente provinciale), alcuni personaggi ricorrono da un racconto all’altro, ma ogni parte del libro si potrebbe anche leggere separatamente; ogni capitolo (se lo è) ha alla fine un forte senso di chiusura. Inoltre la chiusa, intitolata “Como merda” (per valide ragioni che non mi pare il caso di anticipare), coinvolge solo alcuni dei personaggi (incluso il narratore), non la ex-pornostar protagonista di “Siderale, di Stella Foxy e Marcus Ford”, non la figura messianica di “Talithà kumi reloaded”, non la badante di “Brucia Solidarność”. Nella conclusione alcuni fili narrativi vengono ripresi e portati a compimento, ma non tutti. Decidete voi: raccolta di racconti intrecciati, oppure romanzo destrutturato.

Quel che conta è che l’ambientazione è convincente, e per quanto le vicissitudini del gruppo di ragazzetti di provincia che vanno e vengono sulle loro BMX ricordino un po’ It di Stephen King, qui siamo ben piantati in una realtà del tutto italiana, negli anni Ottanta, e soprattutto non abbiamo clown assassini e creature da un’altra dimensione. C’è il buon vecchio Diavolo di discendenza biblica, ma incarnato in personaggi assai terreni, spacciatori, mafiosi, delinquenti di vario calibro, e anche una combriccola di satanisti nella quale i ragazzi si imbattono nel primo racconto (o capitolo), “Indiano Joe”. Per quanto le coordinate antropologiche, per così dire, ricorrano all’iconografia cristiana (perché quell’immaginario cattolico, ricco di cristi e santi e martiri e brutte bestie, viene trasmesso ai ragazzi dalle vecchie del paese), siamo in un mondo anche troppo reale e concreto, per quanto raccontato con una lingua stralunata e percorsa da torsioni non indifferenti, colorata da deliberati abusi di vocaboli, come in questo brano: «La seconda era la rapsodica lista di riviste per adulti nascoste in anfratti proibitivi, infilate in mezzo alla biancheria intima nel comò dei genitori, come il nostro confratello Accio sosteneva, ghignando angelico: lista nascosta al mondo della luce, lista plasmata per generare vergogna e colpa ma senza uccidere l’anima, carismatica e quasi irreale come pasta fluida dei sogni, senza odore né sapore».

Ecco, la prosa di Ielmini è decisamente strana, a tratti stramba, a tratti stravolta; consiglio di lasciarsi andare alla sua cadenza, e si scoprirà che è perfettamente funzionale alla narrazione, e soprattutto a rendere la voce del narratore, che è lo scrittore del gruppo di amici – e quello più imbevuto, almeno agli inizi, di cattolicesimo alpino. Grazie a questo eloquio decisamente anomalo e personalissimo gli echi di altri autori (King, come ho già detto, ma anche Bolaño, esplicitamente citato e saccheggiato in “Le 2666 righe di Frau Ingeborg Bauer”) vengono integrati nel piccolo mondo periferico in cui si muovono i personaggi di Ielmini. Un mondo piccolo dove però ogni tanto qualcuno muore decisamente male (per cui più che di horror si potrebbe parlare di giallo, al limite di una sorta di Twin Peaks lombardo), e dove arrivano di tanto in tanto gli echi degli eventi del grande mondo intorno (Solidarność, tanto per dirne una, o la Caduta del Muro).

Non tutti i capitoli (o racconti) sono memorabili, ma nel complesso Spettri diavoli cristi noi si fa leggere e si fa apprezzare. Se non altro, non c’è l’italiano omogeneizzato dei romanzi autofictionisti che vanno per la maggiore (a chiacchiere, non tanto a copie vendute), ma una scrittura decisamente individuale, con un suo carattere e un suo perché. Ielmini ha fatto una scelta controcorrente e coraggiosa, e ha ben meritato il premio Neo. Infine, last but not least, ci mostra un’Italia affollata di immigrati (albanesi, polacche, un bosniaco) tutt’altro che scontati e stereotipati; che è già l’Italia nella quale navighiamo in questo momento. Non mi pare poco.