Riccardo Falcinelli / L’immagine cattura e sfugge

Riccardo Falcinelli, Visus. Storie del volto dall’antichità al selfie, Einaudi, pp. 545, euro 25,00 stampa

Visus parte prendendo spunto e viatico dal Ritratto di mademoiselle Caroline Riviére di Ingres (riprodotto anche in copertina) e dall’episodio, realmente vissuto dall’autore bambino, della foto per un passaporto che la madre, insoddisfatta del suo aspetto, sostituisce con quella apparentemente identica ma più di suo gusto della sorella gemella. Si avvia così un lungo percorso, tortuoso e affascinante, in cui storia dell’arte, semiotica, neuroscienze, politica e costume, si vanno a compendiare alla scoperta della figurazione del volto umano dalla preistoria a oggi. Dopo i suoi due precedenti bestseller, Cromorama (Einaudi, 2017) e Figure (Einaudi, 2020), dedicati rispettivamente al tema del colore e del carisma iconico di certe immagini, Riccardo Falcinelli, grafico e designer ma soprattutto critico e teorico della comunicazione visiva, affronta ora quello universale e perpetuo del ritratto.

Nato dall’esigenza di fermare il tempo, di cristallizzare l’aspetto personale per serbarne memoria oltre la morte, il ritratto è maschera – mortuaria o rituale – mummia e doppio; non necessariamente cerca la verosimiglianza psicologica o caratteriale o ottimizza l’estetica ma spesso esalta il potere e idealizza l’autorità; è soprattutto strumento politico, perché, come spiega Falcinelli: «Uno dei grandi malintesi a proposito delle immagini è credere che siano state create nel corso della Storia esclusivamente per ragioni estetiche, cioè per essere contemplate, come accade quando andiamo ad una mostra o a un museo. Ma non è così. Le immagini nella maggior parte dei casi nascono per essere utilizzate, consumate, al pari di qualsiasi altro oggetto materiale […] per capire il valore di un volto artificiale non dobbiamo limitarci alla sua forma, le domande da porsi sono altre: chi ha pagato per una certa immagine? Per esporla dove? Per ottenere cosa?». Ma dal 1839 la nuova tecnologia battezzata “fotografia” muterà in parte i giochi sociali.

L’Ottocento democratizzerà finalmente l’accesso al ritratto: da una parte Nadar, che immortala grandi scrittori, intellettuali e artisti in una composizione impeccabile; dall’altra Disdéri che brevetta carte de visite, otto scatti fotografici in successione nei quali chiunque può, fuori da qualsiasi ruolo ufficiale, giocare con la propria immagine in modo scherzoso e irriverente, anticipando le possibilità delle macchinette per fototessere. A dimostrazione di come il mezzo modifichi in qualche modo il soggetto, Falcinelli confronta il ritratto di Sarah Bernhardt come appare ritratta da Nadar – classica e statuaria – e negli scatti multipli di Disdéri, mobile, giocosa, viva. Se Nadar anticipa le copertine di “Vogue”, Disdéri invece anticipa il selfie. «In termini generali – argomenta Falcinelli – non esiste una rappresentazione del volto che non comporti un briciolo di astrazione. L’arte è, in sé, un sistema che idealizza, almeno un po’ […] In senso tecnico possiamo infatti reputare l’idealizzazione un modo di generalizzare le caratteristiche somatiche. Ovvero, il make-up ci fa somigliare meno a noi stessi e più a un canone di moda. Sebbene questo aspetto sia spesso criticato come gregario o conformista, è stato un principio cruciale in molte epoche e culture: perché fa emergere un’idea collettiva del volto».

Nel volume, ci dice Falcinelli in chiusura, la parola “volto” è comparsa 410 volte e “faccia” 320 volte: volto, che secondo alcuni avrebbe la stessa radice latina di volo e voluptas, volere e desiderio, o di voltus, il lato visibile di qualcosa, ciò che si mostra. E faccia viene da facio, fare, ma anche rappresentare, fingere, immaginare. La faccia dunque si mostra e si desidera, ma soprattutto si fa, cioè si finge, si rappresenta e si immagina. Ma è soprattutto il “viso”, dal latino visum, participio passato del verbo video, che ci porta alla capacità di vedere, all’immagine, all’apparizione. E qui comprendiamo che «l’identità perfetta dei lineamenti non rende davvero la persona, serve un’imprecisione, un clinamen, un non-so-che di sbagliato, perché un volto venga fuori davvero “vero”». Così la Caroline Riviére di Ingres sulla copertina di un libro diventa l’Eugénie Grandet di Balzac, senza esserla davvero la significa, così la zia di Falcinelli significa la madre, almeno sulla foto del passaporto. Ancora una volta, eternamente, la nostra immagine riflessa ci cattura e ci sfugge come l’abbraccio di Narciso.