I testi di Reza Negarestani sembrano viaggiare su linee temporali parallele alla nostra e incontrate per corrispondenze editoriali un po’ ellittiche. Solo lo scorso anno è stato pubblicato dalla Luiss University Press Cyclonopedia, narrazione filosofica e “monografia apocrifa” – con tanto di manoscritto ritrovato – del collasso petrolifero mediorientale. Qui l’entità fossile, protagonista ultima di un libro considerato seminale nel panorama theory-ficion, tira le fila dell’apocalisse dietro il sipario della storia naturale e della sua appendice umana e geopolitica. Ma il testo, del 2008, fitto di crediti speculativi non sempre agevolmente riconoscibili (quelli con Nick Land e Gilles Deleuze sono forse i più ovvi) risulta oggi un anacronismo rispetto agli indirizzi più analitici che il filosofo iraniano ha nel frattempo maturato e impresso al suo pensiero, in particolare con Intelligence and spirit (2018), al momento non tradotto in Italia. Torture concrete, nato dalla conversazione con l’artista francese Jean-Luc Moulène, ne anticipa alcuni temi, a cominciare da quello dell’astrazione, in un saggio (2014) certamente denso seppure “a quick one”.
Come osserva nella bella introduzione Gioele P. Cima, che lo ha tradotto, una volta dismessa l’ottica del non umano e abbandonati i toni narratologici del pessimismo weird per quelli più concilianti del filosofo professionale, ci accorgiamo anche di una sostanziale contiguità tra i due Negarestani: “Pur cambiando i contenuti e il materiale trattato, la cornice logica rimane la stessa. La traccia che tiene assieme queste due diverse fasi si salda su una serie di interrogativi che erano in parte già latenti in Cyclonopedia: cosa ci rende umani? E, soprattutto, in che misura possiamo ancora fidarci dell’umanesimo per interrogare una fase del nostro tempo che ci pone in aperta ostilità verso i vecchi precetti di un simile modo di pensare”.
Per uscire da questa “paralisi cognitiva”, che opporrebbe oggi umanesimo e anti-umanesimo, Negarestani parte questa volta dall’attività umana più specifica – il pensiero – e dalla sua manifestazione più dirimente – l’astrazione – per procedere progressivamente a rimuovere le scorie più o meno palesi di antropocentrismo. Cosa rende certe astrazioni nell’arte, nella filosofia, nella scienza sostanzialmente diverse da una qualsiasi, arbitraria rappresentazione mentale, dal capriccio di un artista, ecc?
Secondo il filosofo l’astrazione è, in sé, “l’ordine della crudeltà formale del pensiero. Nella sua forma più semplice e banale essa comporta una vera e propria mutilazione, l’amputazione della forma dalla materia sensibile”. Il pensiero tenderebbe quindi a emanciparsi dalla sua base materiale, dalla “tirannia del qui e ora”. Tuttavia, per raggiungere i suoi scopi, deve a sua volta mettere in gioco la sua pretesa unità, abbandonare la sua omogeneità, destabilizzare sé stesso per riconfigurare l’edificio cognitivo. Moulène, dice, come artista non è interessato all’autonomia dell’arte, o a imporre la sua visione del mondo. La sua ricerca propone invece protocolli universali che sollecitino l’intrusione della materia nell’immaginazione, loop per connettere variazioni e istanze non omogenee tra loro. In questo senso le sue opere sono “ambigue”, organizzano un campo di ambiguità che sfida l’intelletto e le immagini radicate nel pensiero a lasciarsi guidare dalle istanze materiali come se fossero una sua componente. Per questa via il pensiero – sia esso artistico, filosofico, scientifico – fa i conti in senso trasformativo e “realistico” con la “crudeltà” che lo abita.
Come osserva ancora Cima, per Negarestani l’opposizione tra umanesimo e anti-umanesimo è in definitiva una finzione, dove il secondo si affaccia al dibattito pubblico come antagonista del primo solo per rivelarsi poi una sua costola. Per il filosofo di Cyclonopedia il “progetto umano” va invece radicalmente ripensato a partire dall’inumano a cui non ha mai smesso di appartenere.