La casa editrice DeriveApprodi si sta ristrutturando e la collana “Machina libro” legata al blog omonimo sembra voler traghettare temi e filoni politici dal passato all’attualità, forse per nuove generazioni di lettori. Una scelta coraggiosa e in qualche modo necessaria. Così l’intento di Nel sottosopra degli anni Ottanta è quello di restituirci con i suoi 14 brevi testi un ritratto complessivo del decennio in cui il capitalismo ha rivoluzionato se stesso e traghettato gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso in quello che è ancora il nostro presente. Ma non voglio inoltrarmi in un anodino riassunto dei vari contributi, piuttosto soffermarmi su tre testi collegati alla figura monumentale di Mario Tronti morto poco meno di un anno fa. È lui, a me pare, il nume tutelare di questo nuovo corso della casa editrice.
Che cosa è successo all’esperimento sovietico? di Rita di Leo è un breve testo, appena tre pagine, che al lettore un po’ sprovveduto può apparire chiaro e criptico insieme. Gli diventa chiaro se conosce il pensiero dell’autrice sull’Unione Sovietica. Il binomio operaismo-Stalin non è infatti così noto né fra le generazioni che conoscono il pensiero di Tronti a cui da sempre è legato quello della nostra autrice, né tantomeno alle generazioni più giovani. Senza dimenticare che l’URSS non esiste più da circa quarant’anni e, salvo confonderla con la Russia, è difficile che stia nei saperi e conoscenze della maggior parte delle nuove generazioni.
Partendo dalla classica periodizzazione temporale – Ottobre ’17, morte di Lenin nel ’24, morte di Stalin nel ’54 –, l’articolo arriva fino alla fine dell’URSS e prende in considerazione anche la figura di Putin. Ma è su Stalin, “principale autore dell’esperimento sovietico”, che si sofferma l’autrice descrivendolo come un intelligent consapevole delle proprie origini sottoproletarie che “perseguiva il miraggio di un rovesciamento sociale tale per cui i lavoratori manuali potessero svolgere compiti di governo e di comando nel paese”. Cosa che in effetti caratterizzerà la storia dell’Unione Sovietica fino alla sua morte per poi sopravvivere solo ideologicamente fino alla fine dell’Unione Sovietica. Ma a Stalin di Leo rimprovera di aver indirizzato l’operaismo solo “alla gestione dell’economia e non alla contrapposizione tra la politica di tipo occidentale e una politica marxista-leninista”. Aggiunge poi che in URSS “[l]a politica è stata sconfitta perché è stato sconfitto il partito”. Ecco quindi che di Leo, come l’amico e sodale Mario Tronti teorico dell’operaismo ma anche dell’autonomia del politico, può concludere scrivendo che la più grande disgrazia che ha avuto la Russia bolscevica è stata la morte di Lenin e quindi del partito e quindi della possibilità di una visione teorica e politica che solo il contributo degli intellettuali poteva garantire. Insomma, se l’operaismo è lasciato solo dal partito, non va da nessuna parte anche se dietro ogni operaio nella Russia di Stalin c’era un tecnico per lo più di “etnia ebraica” (sottolinea di Leo) a formarlo…
In ogni caso di Leo, come si può leggere in interviste e interventi degli ultimi anni, approda a un fortissimo pessimismo accentuato ulteriormente dalle sue riflessioni sull’Intelligenza Artificiale. Rimane però significativamente laica e non approda come Tronti all’evocazione del “rapporto tra comunismo e cristianesimo” come leggiamo nel densissimo dialogo La politica al tramonto con il filosofo Adelino Zanini, il sesto saggio di questa raccolta. L’esito di Tronti di fatto si accorda – si parva licet – con quando dichiarato in modo molto meno sofisticato dal convertito Luca Casarini e con le ‘opere’ che diuturnamente compie sulla nave Mediterranea nel salvataggio dei migranti. Anche nel caso di Casarini la fede è l’esito della fine della possibilità di una politica rivoluzionaria seppur, nel suo caso, la politica possa essere ancora conflittuale nel momento in cui si disubbidisce alle leggi dello Stato per ubbidire alle leggi dell’umanità.
Pur tenendo ferma, ancora una volta, la lezione sull’operaismo di Tronti, l’ultimo saggio del libro – La svolta linguistica dell’economia e i suoi effetti nella politica – di Christian Marazzi, è invece di tutt’altro tenore, scevro da ogni catastrofismo, da ogni nostalgia e da ogni approdo disperato o salto nel sacro. Marazzi ripercorre il passaggio dal fordismo al post-fordismo partendo ancora una volta da Tronti e dal fatto che il fondatore dell’operaismo riconoscesse a Antonio Negri di avere avuto un’intuizione fondamentale nella definizione di “operaio sociale”. Scrive Marazzi da parte sua: «Si può dire che la tesi dell’operaio sociale confermi e attualizzi uno dei maggiori contributi di Tronti: la “scoperta” che sono le lotte operaie a precedere il capitale. In altri termini prima viene la soggettività, la lotta, il conflitto e dopo viene la ridefinizione dei rapporti fra capitale e lavoro, l’innovazione del capitale per annientare queste stesse lotte».
Se questo è l’assunto, si può quindi leggere il post-fordismo come una risposta alle lotte degli anni Sessanta e Settanta – una controrivoluzione – ma non essendo la classe identificata con il partito come viene inteso da Tronti e anche da di Leo, l’esito non è la catastrofe della fine della politica. Lo stesso Marazzi, però, nella sua stringata ma puntuale storia del passaggio al post-fordismo, non manca di rilevare due scogli teorico/politici. Il primo riguarda la lettura che si faceva negli anni Settanta del famoso “Frammento sulle macchine” e del “general intellect” dei Grundrisse di Marx laddove attraverso la parola d’ordine del rifiuto del lavoro si prospettava “la liberazione non del lavoro ma dal lavoro”. Cosa che con ogni evidenza non è avvenuta. Il secondo riguarda un’altra delle categorie fondamentali degli anni Settanta: “quella di composizione di classe, sia tecnica che politica,” e quindi della ricomposizione di classe. Marazzi cerca di indicare diverse alternative. Così, a proposito della Intelligenza Artificiale, scrive (senza tecnofobia) che essa è comunque “un grande furto di vita che andrebbe rovesciato, scardinato”.
I tre pezzi su cui mi sono soffermata non sono l’unico attraversamento possibile di questo libro sugli anni Ottanta. Un’altra serie di interventi, ad esempio, ruota attorno a un classico fondamentale del pensiero critico italiano di quegli anni. Sto parlando di Sentimenti dell’aldiqua. Opportunismo paura cinismo nell’età del disincanto uscito nel 1990: un libro collettivo che voleva insistere – con un coraggio e uno sprezzo notevole verso le magnifiche sorti e promesse disattese – anche sul profilo ambivalente e potenzialmente sovversivo di quelle “passioni tristi” di fine millennio. In particolare il libro viene qui ripreso e discusso in un confronto fra uno degli autori, Paolo Virno, e Marco Mazzeo e Adriano Bertollini, troppo giovani per averlo letto quando era uscito.
Altri articoli sono più leggeri e divertenti come sono sempre gli elenchi, da quelli musicali, ai film, alle riviste, alle forme d’arte e gli stili di vita. Per non lasciare dubbi nella copertina si riconosce un giovane Travolta infebbrato nel sabato sera. Un libro ibrido che in duecento pagine ha l’ambizione di parlare di un decennio che la casa editrice pensa (forse a ragione) sia tornato “di moda”. Non può che essere una piccola guida e sta al lettore entrarci dentro e trovare un proprio filone di interesse. In ogni caso un QR rimanda a tutti gli articoli sugli anni Ottanta che sono pubblicati nel blog a dai quali è stata estratta questa raccolta.