Racconti Magick

Aleister Crowley, I racconti della Bestia, Edizioni Arcoiris, pp. 148, euro 13,00 stampa

La Biblioteca di Lovecraft è una nuova collana di agili volumi dalla grafica estremamente piacevole, curata da Jacopo Corazza e Gianluca Venditti per le Edizioni Arcoiris, casa editrice di Salerno abitualmente dedita alla pubblicazione di autori ispanofoni e latinoamericani. Il primo volume uscito qualche mese fa, attingeva direttamente ai racconti citati da Lovecraft nel suo saggio del 1927, Supernatural Horror in Literature, presentando in nuove, ottime traduzioni (tre dall’inglese di Diego Bertelli e una dal francese di Luca Baldoni) racconti classici come “The Suitable Surroundings” di Ambrose Bierce, “The Face” di Edward Frederic Benson, “Count Magnus” di Montague Rhodes James e “L’Oeil invisible” di Emile Erckmann e Alexandre Chatrian. Il secondo volume invece, sotto l’intestazione La Biblioteca di Lovecraft presenta, offre un’anteprima assoluta. Tradotti da Luca Baldoni e introdotti da un pioniere del Doom Metal italiano – Steve Sylvester dei Death SS – appaiono per la prima volta nella nostra lingua dieci racconti di Aleister Crowley, o Frater Perdurabo, Master Therion, la Grande Bestia 666, che dir si voglia.

Si, perché Aleister Crowley (1875-1947) non fu solo Magus teorico e praticante di quella Magick che abbondantemente faceva ricorso a riti di natura sessuale in chiave etero e omo, ma anche poeta e narratore, di certo assai prolifico anche se non altrettanto geniale. La sulfurea fama di satanista dell’“uomo più perverso del mondo”, come lo apostrofava abitualmente la stampa scandalistica britannica da lui fomentata con compiacimento, è altamente immeritata. Crowley fu un neopagano (bello il suo poema Hymn to Pan, che i discepoli lessero al suo funerale a Brighton), un nietzschiano estremista, un praticante della goetia, la magia cerimoniale evocatoria, un pansessualista dai gusti piuttosto particolari (attivo con le donne, passivo con gli uomini), ma sicuramente non un satanista: rifiutando integralmente il cristianesimo (proprio lui che proveniva da una famiglia fondamentalista protestante), il concetto biblico di Diavolo gli era del tutto estraneo. Affiliato a innumerevoli gruppi occulti come la Golden Dawn e l’Ordo Templi Orientis e creatore dell’Argentinum Astrum, il suo ordine personale; profeta di una nuova religione, Thelema, basata sul precetto rabelaisiano “Fa ciò che vuoi sarà tutta la legge – Ogni uomo e ogni donna è una stella – Amore è legge: Amore sotto la Volontà”; alpinista spericolato (sua la prima spedizione in vetta al Kanchenjunga – 8586 m, la terza vetta mondiale dopo Everest e K2 – nel 1905,  terminata però a 6500 m con un disastro che costò la vita a quattro persone); dilapidatore dell’ingente patrimonio familiare (il padre era un importante produttore di birra) ed eroinomane per tutta la vita, Aleister, suscitò inveterata ammirazione o disgustata avversione. W.B. Yeats fu – del tutto ricambiato – suo acerrimo nemico; William Somerset Maugham lo dileggiò nel suo mediocre romanzo The Magician del 1908; Fernando Pessoa intrattenne invece con lui rapporti molto cordiali e fu addirittura suo complice in un finto annegamento alla Boca do Inferno, presso Cascais, inscenato allarmando la stampa portoghese per spaventare una sua amante. L’ineffabile Aleister fu espulso nel 1923 come indesiderato dall’Italia di Mussolini; diede nome a un rinnovato mazzo di Tarocchi; mise incinta la moglie di Ananda Coomaraswamy; si presentò alla scuola di Georges Ivanovič Gurdjieff, forse per scatenare un duello fra maghi, e fu sbattuto fuori in malo modo dall’esoterista caucasico; fece il doppio gioco nei Servizi segreti britannici nella Prima e forse anche nella Seconda Guerra mondiale, collaborando con Ian Fleming, il creatore di James Bond – almeno così testimonia lo scrittore – sul caso misterioso del volo di Rudolf Hess; conferì l’iniziazione al suo ordine a Lafayette Ron Hubbard, il futuro fondatore di Scientology, ma poi sconfessò l’ambiguo scrittore di fantascienza; ecc. ecc… Una vita decisamente intensa e controcorrente che gli procurò la postmortale statura di guru nel mondo del rock: cominciarono i Beatles che lo vollero in mezzo alle loro icone ispiratrici sulla copertina di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, proseguirono i Led Zeppelin (Jimmy Page si sarebbe addirittura comprato Boleskine House, la villa infestata sulla riva orientale del Loch Ness, che fu di sua proprietà), David Bowie (soprattutto in Station to Station) e Ozzy Osbourne (“Mr. Crowley, won’t you ride my white horse? Mr.Crowley, it’s symbolic, of course…”), fino ai contemporanei alfieri dell’Heavy e del Black Metal.

Insomma, anche se non si è occultisti o thelemiti, il Crowley narratore vale la pena leggerlo (con moderazione), se non altro per curiosità. I suoi romanzi  (Diary of A Drug Fiend del 1922 e Moonchild scritto nel 1917, pubblicato nel 1929 e tradotto anche in italiano come La figlia della luna, Arktos Sevagram, 1983), non sono particolarmente invitanti, afflitti da uno stile prolisso e ampolloso, ma i racconti brevi sono assai più piacevoli, per esempio “Il testamento di Magdalen Blair” del 1913 (recentemente pubblicato in italiano in un gradevolissimo volumetto edito dalla preziosa ABEditore), oppure quelli selezionati nel volume di Corazza e Venditti di cui stiamo parlando, quasi tutti estratti dalla raffinata rivista, prevalentemente dedicata ad argomenti magici ed esoterici ma che non disdegnava anche poesia e letteratura (specie se opera di un unico autore: Aleister Crowley, anche sotto vari pseudonimi), che il Magus si autobubblicò semiannualmente dal 1909 al 1913, The Equinox: The Review of Scientific Illuminism, accampando in copertina il motto “The Method of Science – The Aim of Religion”.

Una lettura che ci mostra le composite velleità della Grande Bestia, in grado di spaziare (sempre però in chiave minore, naif, tendenzialmente pedissequa ma con tutto il fascino dell’amateurish di qualità) dal mystery alla Conan Doyle, all’horror alla Algernon Blackwood, dall’esoterico alla Bulwer-Lytton, al morboso-decadente in stile Huysmans (in fondo il giovane Aleister scrive, più o meno, negli anni dell’estetismo decadente, di Oscar Wilde, di Aubrey Beardsley e dello Yellow Book…). Curiosi un po’ tutti questi racconti, spesso molto brevi, ricordiamo in particolare “La violinista” o “La volpe”, con protagoniste ispirate a signore reali, amanti di Crowley (le “Donne Scarlatte”, come le chiamava con riferimento alla Prostituta di Babilonia dell’Apocalisse…), o “Il cacciatore di anime” e “La faccia”, horror entrambi ma decisamente sui generis.

Raccomandiamo dunque il libro ai curiosi, ai decadenti (ce n’è ancora qualcuno…) oltre, naturalmente, che ai decaduti, e auguriamo un radioso futuro a una collana originale e inconsueta: la Biblioteca di Lovecraft ha ancora in serbo per noi molte gradite sorprese.