Dopo il romanzo Gomòria, pubblicato nel 2018, l’editore Cliquot prosegue nella riscoperta dell’opera misconosciuta del misterioso e ineffabile Carlo H. De’ Medici, scrittore, ma forse ancor di più personaggio, nato nel 1877 o, come è emerso da nuove fonti, più probabilmente nel 1887, a Parigi, e morto in data ignota, presumibilmente a Gradisca d’Isonzo in provincia di Gorizia. La H. sta per Hakim, nome originario della ricca famiglia di banchieri ebrei originari di Alessandria d’Egitto, trasferitisi prima a Parigi e poi a Gradisca (allora ancora parte dell’Impero Austro-Ungarico), che per Decreto regio del 1889 ottennero l’autorizzazione a chiamarsi De’ Medici. Carlo ha lasciato una cospicua bibliografia di opere narrative e di oscuri testi di occultismo e metapsichica, oltre alle decine di illustrazioni di grande suggestione che le accompagnavano; titoli dimenticati e perduti, alcuni dei quali sembra siano stati letti da Italo Svevo e abbiano esercitato una qualche influenza su di lui. Ma tutto resta avvolto nel mistero quel che riguarda questo enigmatico outsider, forse debosciato dandy incagliatosi in provincia come il Totò Merùmeni di Guido Gozzano, o forse esoterista e aspirante magus come i membri del Gruppo di Ur, che in quegli stessi anni si raccoglievano a Roma sotto gli auspici neopitagorici di Arturo Reghini, o degli adepti della Fratellanza di Miriam dell’ermetista Giuliano Kremmerz.
Il mondo e le figure dell’estetismo simbolista e decadente, dal recluso nevrotico in stile Des Esseintes, alla belle dame sans merci dal fascino meduseo, con tutto il retaggio della carne, della morte e del diavolo, come individuato da Mario Praz, riemergono in tono minore ma non meno evocativo nelle pagine di questo ignorato D’Annunzio di periferia. Dopo il romanzo recuperato da Cliquot un paio di anni fa, più faustiano e gotico, ecco ora l’antologia di racconti I topi del cimitero pubblicata nel 1924, a cui si aggiungono quelli dell’introvabile (solo una copia esistente) Crudeltà, del 1927, tutti accompagnati, come fu nel caso del precedente volume, dalle splendide immagini erotico-gotico-liberty che li commentano e che pongono il De’ Medici artista figurativo non troppo lontano dal grande contemporaneo Alberto Martini, illustratore italiano di Edgar Allan Poe.
La silloge raccoglie brevi storie, spesso di un’esiguità narrativa disarmante che ricordano più che altro i poemetti in prosa sulla falsariga del baudelaireiano Lo spleen di Parigi, o, quando leggermente più consolidate, i Racconti crudeli alla Villiers de L’Isle-Adam o alla Barbey D’Aurevilly. Già attardato mentre negli anni Venti cerca di evocare l’atmosfera della Fin de siècle, De’ Medici cesella uno stile arcaicizzante ma assai poco classico o dannunziano, con un lessico non particolarmente ricercato e una sintassi piuttosto semplice e ordinaria che, se non esistesse una reale bibliografia consultabile in biblioteca a smentire il sospetto, potrebbe far ipotizzare il gioco letterario di un abile simulatore contemporaneo.
Resta comunque intatto il fascino irresistibile di un’epoca remota ed ammantata di mitici bagliori e languori, e quello, gustosamente malsano, di una sfuggente incarnazione simultanea dei principali archetipi letterari tardoromantici (così già scrivemmo a proposito del protagonista di Gomòria, Gaetano Trevi di Montegufo, a cui è dedicata in esergo questa raccolta, essendo il personaggio una trasparente idealizzazione dell’autore stesso): l’Esteta, il Superuomo e, forse soprattutto, l’Inetto.
Ringraziamo l’editore Cliquot della inattuale riscoperta, sostenendone il coraggio sempre dimostrato nell’ indefesso lavoro di ricerca fra le pieghe nascoste e ignorate della nostra letteratura.