La storia del genere fantastico – piuttosto difficile da delineare con precisione – rimesta ossessivamente nel “perturbante”, quel miscuglio di familiarità ed estraneità che scaturisce da un oggetto osservato o da un’esperienza vissuta. Con il perturbante – per quanto la parola sia stata teorizzata da Sigmund Freud solo all’inizio del Novecento – si sono confrontati i grandi autori e autrici del gotico inglese e poi naturalmente, tra gli altri, Edgar Allan Poe ed Henry James. Nello stesso solco aveva lavorato Mary Eleanor Wilkins Freeman (1852-1930): scrittrice poliedrica – autrice di narrativa per l’infanzia, poesia, romanzi, drammi e racconti – la cui celebrità resta legata proprio a queste storie di fantasmi e apparizioni spettrali, case infestate, bambine perdute, scoperte sconcertanti e verità nascoste. Buona parte del campionario della letteratura del fantastico e del terrore è presente in questi sei racconti, meritoriamente antologizzati da Black Dog, accompagnati dalle illustrazioni di Valentina Biletta e con un’introduzione di Simona Zecchi, giornalista e scrittrice di saggi d’inchiesta.
La scrittura incalzante e asciutta di Wilkins Freeman crea atmosfere di attesa e suspense crescente, soffermandosi insistentemente sugli aspetti patologici delle relazioni familiari cosicché il fantastico, il gotico e l’horror finiscono per diventare la cornice angosciante di tragiche normalità.
Nelle donne protagoniste di Wilkins Freeman vi è l’accenno ad un passato rimosso di tristezze, quando non di morti spaventose nella serena campagna dell’est americano. L’incipit di ciascun racconto catapulta il lettore e la lettrice dentro torbide ambiguità. Luoghi, persone, abbigliamento sono tratteggiati rapidamente e con straordinaria efficacia, tutto preannuncia con tocco lieve ma fermo vicende degradanti.
Talvolta, fra le righe, la scrittura di Wilkins Freeman sembra alludere al fatto che gli eventi sovrannaturali, per quanto inquietanti, possano persino essere una spiegazione più rassicurante della realtà razionale stessa, come nella mente di una delle protagoniste de La stanza a sud-ovest:
Poi cercò in se stessa la prova che in quella esperienza terrificante vi fosse stato qualcosa di sovrannaturale. “Sto immaginando tutto,” si disse.
Perché l’inferno, in fondo, siamo proprio noi, le nostre vite, le nostre relazioni.
I ruoli e i destini delle protagoniste non possono non rimandare al destino di sofferenze al quale i movimenti politici cosiddetti “sovranisti” oggi vorrebbero nuovamente condannare le donne. Cos’è un “sovrano”, del resto, se non il dominus depositario del diritto di vita e di morte dei suoi sudditi e della vita sociale e riproduttiva delle sue suddite? Cos’è il sovrano se non un mostro orrorifico?
Il solo apparentemente ingenuo protofemminismo di Wilkins Freeman è un progenitore delle ancelle distopiche di Margaret Atwood e, ancora una volta, lascia trasparire il forte significato politico-sociale che proprio la cosiddetta letteratura di genere, grazie alla sua potenza immaginativa, riesce a creare, restituendo alla scrittura letteraria la sua duplice spinta: l’intrattenimento e l’inquietudine profonda per la condizione umana.