La forza e la debolezza si confrontano, in amore (ed è quasi sempre tragedia) e nello sfarzo della vita. Così sembra poiché lo sfarzo viene giudicato come faccenda traboccante possibilità. In apparenza. Pensate per un attimo a Beckett e alle distanze sgraziate dell’animo umano a cui lui si dedicò utilizzando diverse lingue. Pensate, se ci riuscite, alla meccanica feroce dell’emulazione quando due persone s’incontrano, sembrano riconoscersi, e subito dopo una delle due diventa il nemico giurato dell’altra trasformandola in Soccombente. In apparenza è così, fino a quando in un tempo successivo le cose si ribaltano, vittima e vessatore si trasformano in qualcosa d’altro. Qualcosa di osceno, che non dovrebbe esistere in natura. Ma origina da quel primo nucleo in cui amore e vita diventano ciò che realmente sono: un andirivieni di crudeltà e asfissie, di stanze vuote e chimiche distrutte.
I delitti degli uomini si avvolgono, ma non sempre, in un miscuglio di bassezze e grandiosità che originano nelle sovrapposizioni infinite della mitologia. Basta rileggersi, nell’Iliade, gli accadimenti intorno alle mura di Troia. Fuori e dentro quei bastioni stavano cuori ardenti e possanze muscolari e divinatorie. Il tutto condito con l’implacabile, spesso confusionario, intervento degli dèi. Quando ciò non accade, le bassezze restano solitarie a livello del suolo mentre le grandiosità svaporano verso l’altitudine atmosferica. Confondendosi con i miliardi di frequenze che l’umanità, in poco più di un secolo, ha imbastito con i suoi trabiccoli elettronici.
Di questi avviluppamenti vertiginosi e feroci ha sempre scritto Thomas Bernhard, mettendo a soqquadro una prosa che sembrava aver esaurito risorse, ma naturalmente si trattava di pecunie da pagare presso i confini, dove Austria e Germania s’impossessavano di esistenze e anche d’altro. Nessuna sorpresa a riguardo, già Paul Celan s’era dato da fare per pagare l’impagabile, fino al tuffo nella Senna. Solo un decennio li separava. E la poesia, da Bernhard presto abbandonata in favore della prosa. Possiamo riprenderla nel recente Sotto il ferro della luna, pubblicato da Crocetti. Il verso che titola la recensione proviene da quella raccolta, l’ultima dello scrittore.
I lettori professionisti che hanno vocazioni baudelairiane – e dunque adepti di noia e clandestinità nel fluido unificante della folie brada, carica d’ogni genere d’espressione artistica – non se la caveranno facilmente con i dettagli poco indulgenti rovesciati sulla pagina da Bernhard. Se troppo abili nel pensiero, saranno trascinati in un altrove per nulla comodo. Tutti gli altri accetteranno maschere universali, e forse da qualche parte potranno confortarsi. Lo testimonia lo stesso Bernhard in questo dialogo con Peter Hamm, avvenuto nel 1976 a Ohlsdorf, all’insegna di un gelido inverno e ingurgitando pessimo vino. La registrazione venne rifiutata in toto dallo scrittore austriaco, che ne proibì la pubblicazione nel volume di saggi che Hamm stava approntando. Dopo aver indebolito la proverbiale misantropia di Bernhard, le cose tornarono al loro posto in breve tempo. “Testo del tutto inservibile”, “ennesima aberrazione”: un’opposizione risoluta che offese il critico non impedendogli, quarant’anni dopo, di pubblicarlo con l’approvazione del fratello sopravvissuto.
In questo prezioso libretto, oltre alla precisa Avvertenza di Hamm, è contenuto il fiume di parole, probabilmente etiliche, e i bisbigli incomprensibili emessi da Bernhard in quella notte di tanto tempo prima. Possiamo così conoscere qualcosa dell’intero percorso umano e intellettuale dello scrittore: la giovinezza travagliata, l’opposizione a tutto quanto provenga dall’autorità, i continui viaggi fra Austria e Germania, l’amore per Artaud, la volontà di diventare famoso, la fascinazione per la morte di cui impregna i personaggi del suo teatro, il guscio impenetrabile della scrittura. Il catalogo dei pericoli si svolge ancora una volta, soffia il significato recondito nei pressi di qualità e intelligenza, nel bel mezzo di un “inferno di solitudine” che porta a qualcosa di simile alla perfezione. Ma nella contabilità finale è prevista una spaccatura, a colpi d’ascia, che avviene in lontananza e scolorita da una nuvola anestetica. In passato ci pensava l’oppio a separare, oggi non basta la vasta e pullulante distesa digitale a farlo.