A. Igoni Barrett, L’amore è potere, o almeno gli somiglia molto, tr. Michele Martino, 66thand2nd, pp. 256, euro 16 stampa, euro 7,99 ebook
recensisce MARTYNA KANDER
È Dimié Abrakasa, quattordici anni e la serietà di un’età in bilico, a fare breccia in me. Tenero e determinato, intelligente e invischiato in un sentimento reso più complesso, come sempre è, dalle circostanze. Sua madre, che ha gli occhi di un rettile, odia quelli del figlio. Sono giorni che cerco di immaginarli per capire cosa vi appaia quando i due si scambiano uno sguardo, cosa scatenano in lei quegli occhi.
Si tratta del terzo di nove racconti in questa raccolta dal magnetismo in crescendo, uniforme ma non monotona, poiché lo slancio si spezza nell’incursione di frammenti quasi alieni. Grazie alla scrittura dettagliata di Barrett, Poteko è una città così vera che si ha voglia di cercarla sulla mappa. L’impressione di realtà è fortissima e si fa fatica a uscire dalla narrazione, invischiati in storie note ma che vediamo di nuovo per la prima volta, si fa fatica a uscire nonostante il dispiacere della vita mostrata così com’è, con «i suoi piccoli segreti, le sue scorregge psicologiche», così nostre e private e riconoscibili che la finzione sembra un’invisibile giuntura – invisibile perché costruita con maestria.
Usciamo da Poteko nel quinto racconto, percorso circolare nel traffico intasato di Lagos, e nel nono, che ci porta in viaggio in Kenya, per una storia di tira e molla. In queste deviazioni guidate possiamo imparare molto non solo sul trasporto pubblico e, in filigrana, scorgere la storia del Paese – grazie anche alle essenziali note di Michele Martino, l’abile traduttore – ma anche vedere la Nigeria con occhi kenioti. Qualcuno potrebbe scoprire che gli africani non sono poi tutti uguali e che esistono, purtroppo e ovviamente, pregiudizi interni al continente.
Il ritorno di alcuni elementi come la pioggia improvvisa, le strade caotiche, l’intervento violento dei militari, il cibo saporito, permette al lettore di acclimatarsi; il ritorno dei personaggi, delle famiglie Anabraba e Abrakasa, fa sì che il lettore riapra il libro subito dopo averlo chiuso. La narrazione è fondata sui salti narrativi e i finali aperti, su parole non dette. Interroga, infatti, quello che da solo non si può dire e arriva accompagnato sempre da altro: dal potere, dall’abuso, dall’assenza, dall’inganno, dalla necessità, dalla passione, dalla disperazione. Come in un sistema solare ellittico, questi racconti orbitano attorno ad amore e potere, tramutando ogni possibile definizione in una gradazione di esperienze. Attorno all’amore e al potere i personaggi disegnano traiettorie, senza che né loro né noi possiamo guardare dritto nei fuochi.
Barrett è un autore diretto, che non la manda a dire e che non scrive per l’Occidente. Questo mi sembra un pregio: è riposante, edificante addirittura, non essere sempre al centro del mondo. Questa raccolta è stata il suo esordio letterario, ma arriva in Italia dopo il primo romanzo, Culo nero, sempre per la 66thand2nd. Se, come me, di solito evitate tutto ciò che nel titolo contiene la parola amore, stavolta fate un’eccezione: ne vale davvero la pena.