PULP Il tuo libro è il primo testo accademico italiano sulle tematiche queer e LGBT+ ed è tratto dal corso che lei tiene all’Università di Torino. Possiamo dire che le cose stiano cambiando anche in Italia?
M.D.L. Esiste, in realtà – e aggiungerei, per fortuna! – una produzione accademica italiana su di una varietà di tematiche queer e LGBT+, che ci ha regalato nel tempo contributi anche importanti in vari ambiti, dal diritto, alle scienze sociali, alla storia dei movimenti.
Il mio è forse il primo lavoro di sintesi di lungo periodo sulla storia della comunità LGBT+ in occidente. Non voglio certo sminuire l’importanza, né la rilevanza, a livello di riconoscimento comunitario, della sua pubblicazione da parte di un editore di prestigio come Einaudi, ma mi preme sottolineare come si tratti di un lavoro che, contenendo ovviamente le mie riflessioni e le mie ricerche e riflettendo, nella sua organizzazione, la mia visione di questa storia, raccoglie e si nutre anche del contributo di altrǝ, in una prospettiva che vuole essere anche quella di una restituzione, in una forma sintetica e visibile, di saperi alla comunità. Detto questo, il gap tra il panorama editoriale italiano e il resto della produzione internazionale (in particolare, quella relativa al contesto anglofono) è evidente e forse non interamente imputabile alla diversa dimensione dei mercati editoriali. In questo senso, spero che il mio libro sia di incoraggiamento per gli editori italiani ad aprirsi alla pubblicazione di altri contributi su questi temi, dei quali il successo di pubblico del mio libro sembra chiaramente attestare una domanda importante dentro e fuori la comunità LGBT+.
PULP I termini queer e LGBT+ sono sicuramente nel patrimonio lessicale e politico delle nuove generazioni ma suonano un po’ più ostiche per gli altri …
M.D.L. Da una parte, credo che questo sia quel che accade un po’ con tutti i neologismi.
Dall’altra, tuttavia, è vero che lo spostamento progressivo da una prospettiva più identitaria e individualizzata (come quella espressa dalle forme sostantivate più usate negli scorsi decenni – “gli omosessuali”, “i gay e le lesbiche”, eccetera) verso una prospettiva più inclusiva, intersezionale e aperta (come quella segnalata dalla prevalenza delle forme aggettivate e collettive e dal “+”), e incentrata sulla dimensione dello scarto dalla norma, sulla dimensione delle diseguaglianze e del potere, come quella espressa dal termine queer, siano più vicine alle istanze delle generazioni più giovani, questo fermo restando che le distinzioni generazionali sono sempre qualcosa di approssimativo.
PULP Il tuo libro è importantissimo dal punto di vista storico (su cui ritorneremo) ma anche perché esce in un momento in cui i temi di cui tratta sono al centro di ampio dibattito a causa del ddl Zan e delle grandi manifestazioni del Pride che vedono una fortissima partecipazione delle nuove generazioni. Come leggi l’intervento irrituale del Vaticano e che differenze ci sono rispetto a precedenti interventi della Chiesa in tema di divorzio, aborto, fecondazione assistita, di cui parli nel libro?
M.D.L. Nel mio libro analizzo le ingerenze della Chiesa cattolica in materia di genere e sessualità non come sopravvivenze di un certo “oscurantismo” del passato, ma come elementi di una strategia tutta moderna, volta alla “rinaturalizzazione” delle asimmetrie di genere, alla riaffermazione della sessualità cis-etero-normata e alla demonizzazione dei saperi di genere. Grazie alle numerose prese di posizione e alla moltiplicazione dei documenti ufficiali la Chiesa, negli ultimi cinquant’anni ha assunto una nuova, specifica centralità nel dibattito pubblico in tema di genere e sessualità, presentandosi non solo come custode della dottrina ma più in generale di un supposto ordine “naturale” che troverebbe il suo cardine nella dualità e complementarità dei generi, nonché nella sessualità cis-etero-normata. In questo senso, mi sembra di vedere una continuità con gli altri temi ai quale fai accenno, sui quali la Chiesa è intervenuta nei decenni precedenti. L’elemento di novità, in quest’ultimo caso, è dato dal ricorso a una fantomatica “teoria del gender” che, utilizzando una formula minacciosa quanto indeterminata che sembra alludere a un “disegno” organizzato (appunto, la “teoria”), facendo leva, come altre retoriche, sulle inquietudini alimentate dal clima generale di incertezza in cui viviamo e che conosciamo bene.
PULP Se un intervento della Chiesa in Italia non poteva che essere scontato, meno scontate sono le critiche che il ddl Zan ha ricevuto da una parte del femminismo radicale della differenza e da organizzazioni come ad esempio Arcilesbica nazionale che si concentrano specialmente sulla nozione di “identità di genere”. Cosa pensi di queste critiche?
M.D.L. In realtà, osservando, come faccio nel mio libro, gli intrecci tra storia del femminismo e storia dei movimenti LGBT+ in una prospettiva di lungo periodo, anche le voci a cui fai riferimento appaiono meno sorprendenti di quello che si potrebbe pensare. Il femminismo è stato nel tempo ed è ancora oggi espressione di tante posizioni diverse, e infatti sarebbe più opportuno parlare di femminismi, al plurale, proprio per sottolineare la presenza di conflitti, lacerazioni, chiusure, all’interno della riflessione e della militanza femminista. Queste lacerazioni si sono fatte particolarmente evidenti a partire almeno dagli anni novanta, con il cosiddetto femminismo di “terza ondata”, ovvero con l’emersione di una ottica queer anti-essenzialista che mira a decostruire il binarismo di genere e di una politica intersezionale, attenta alle tante differenze che ci attraversano (genere, classe, processi di razzializzazione, abilità, e tante altre ancora), ma sicuramente le molte “anime” dei movimenti (femminista e LGBT+) sono un elemento che è presente fin dall’inizio nelle loro storie.
PULP Un nodo centrale – che vale la pena approfondire – è quello del concetto di corpo e delle cosiddette impostazioni essenzialiste che il libro mette radicalmente in questione.
M.D.L. Mi è sembrato importante, come storica, fare luce sul modo in cui anche la storiografia si presta alla decostruzione di una quantità di concetti, fenomeni, “oggetti” che il senso comune ci indurrebbe, ancora oggi, di considerare “naturali” e, in quanto tali, a-storici, immutabili, e che invece, al vaglio dell’indagine storiografica, si mostrano in tutta la loro dimensione di costrutti culturali storicamente dati e mutevoli attraverso le epoche. Il corpo, i corpi, sono stati investiti, attraverso le epoche, di significati sociali, politici, culturali molto diversi, che ne hanno fatto il teatro di battaglie la cui posta in gioco ha designato egemonie, ha delineato strategie di controllo sociale, ha espresso gerarchie e, più in generale, ha descritto visioni del mondo molto diverse tra loro. Così, come attraverso le epoche sono variati sensibilmente i concetti di salute/malattia, abilità/disabilità e, nello stesso processo, sono profondamente variate le valenze culturali a essi associate, anche il concetto di “sesso” è stato investito da una quantità di cambiamenti che hanno visto coinvolte discipline e pratiche molto diverse, da quella medico-clinica alla politica, al diritto, alla letteratura e, in generale, a tutte le rappresentazioni di finzione. In tutto ciò, ovviamente, anche le voci “dissidenti” hanno giocato il loro ruolo e, a partire dalle loro diverse collocazioni al di fuori delle norme di genere e sessualità, hanno esercitato il loro potenziale di resistenza e sovversione delle norme stesse.
PULP Una cosa che viene rilevata da parti ostili da “sinistra” al discorso portante del suo libro è che le istanze e le identità LGBT+ siano oggi in qualche modo il mero riflesso di un liberismo consumista individualista sminuendo o non riconoscendo le risposte resistenti e creative delle comunità omosessuali e LGBT+ che mettono in crisi il sistema binario di cui dai ampiamente conto nella tua ricostruzione storica.
M.D.L. Mi sento di affermare che, nel mondo contemporaneo occidentale, tutte le identità, e le appartenenze collettive, non solo quelle relative alla comunità LGBT+, sono in qualche modo connotate e definite anche attraverso le strategie di consumo che, in modo particolare dal secondo dopoguerra, contribuiscono in modo fondamentale a definire identità, codici comunitari, abitudini sociali. In questo senso la comunità LGBT+ non fa eccezione. Siamo, d’altra parte, abituatə a non percepire questo aspetto per quanto riguarda le identità cis-etero perché si presentano come “naturalmente” date.
In ogni caso, è molto interessante indagare storicamente le relazioni tra comunità LGBT+ e mercato, e, in particolare, le dinamiche di consumo. Così, ad esempio, si può osservare come l’impossibilità, per un lungo periodo, di esprimere nello spazio pubblico la propria affettività o la propria identità o espressione di genere non conforme abbia conferito agli spazi di socialità “privati”, quelli, appunto, legati al consumo, un carattere di necessità che può sfuggire a chi della comunità non fa parte. In fondo, una lettura possibile – che certamente non è di per sé esaustiva – degli stessi moti di Stonewall è quella di una battaglia per il diritto al consumo in un locale. Allo stesso modo, pratiche di consumo come quelle legate all’abbigliamento e ai suoi codici hanno rivestito nel tempo significati che vanno ben oltre quello del mero “consumismo”, rivelandosi, al contrario, vettori di strategie di comunicazione, resistenza, risignificazione. E così, ancora oggi, la rincorsa dei brand al “restyling arcobaleno” nel mese di giugno può – giustamente – apparire come un’operazione commerciale, di “pinkwashing”, ma, d’altra parte, ad esempio, la decisione da parte di una catena di abbigliamento di ripensare la ripartizione “uomo/donna” nell’allestimento dei propri prodotti può arrivare a rivestire un significato e una valenza politica estremamente impattanti, difficili da immaginare per chi si muove a suo agio nel sistema di genere binario. O ancora, l’inaugurazione di una libreria a tematica LGBT+ può essere vista come una strategia di marketing ma anche come l’apertura di un prezioso safe space e un luogo di sociabilità oltreché di promozione di una cultura inclusiva e intersezionale. Insomma, la questione è davvero molto complessa e difficilmente riducibile alla polarizzazione consumo/non consumo alla quale facevi riferimento più sopra.
M.D.L. Anche il diritto, come tutte le manifestazioni della cultura di una società è, al tempo stesso, un prodotto e un fattore di cambiamento del proprio contesto. È stato così in passato, come mostro nel mio libro, ed è così ancora oggi. In un certo senso, in analogia con il sapere medico-clinico, anche quello della giurisprudenza è un osservatorio privilegiato, perché associa alla produzione di un sapere teorico un contatto costante con i “casi” concreti e specifici che si trova ad affrontare. Quando questi saperi entrano nella “pratica” si realizza una specie di “corpo a corpo” in cui, da una parte, le specifiche esperienze vengono rilette alla luce dei saperi consolidati, ma anche, dall’altra, le teorie mostrano le loro incrinature al cospetto delle esperienze e, col favore dei contesti storico-politici contingenti, questi incontri possono innescare riflessioni, facendo spazio a nuove possibilità di interpretazione. Così, anche un elemento considerato come fattuale, assodato, come può essere il presunto carattere astratto, neutro e universale del soggetto di diritto al quale facevi riferimento, con la complicità di una cornice culturale che sostenga i cambiamenti, può cominciare a essere messo in questione proprio a partire dalla discussione di singoli casi che chiamano in causa temi come l’autodeterminazione dei corpi o il concetto di “eguaglianza” o di “pari opportunità”. Ancora una volta, questa non è una prerogativa delle questioni di genere, ma un processo più generale che coinvolge il modo di pensarsi e di regolarsi di un’intera comunità.
PULP Il seguente è un tema che non viene affrontato nel tuo libro ma che mi pare strettamente legato. Uno dei tratti fondamentali del capitalismo contemporaneo sembra consistere nel fatto che da un lato attinge alle diverse esperienze individuali – conoscenze, emozioni, stili di vita, relazioni, linguaggi – dall’altro, cerca di imporre un unico e omogeneo dispositivo di comando sul lavoro non opponendosi alle differenze, ma semmai catturandole, immobilizzandole e neutralizzandole, poiché sono le differenze e il loro sfruttamento a costituire il fondo comune della ricchezza e del profitto. Non diventa, allora, il concetto di differenza assai problematico, aperto a molteplici contraddizioni?
M.D.L. Credo di aver già in parte risposto a questa domanda parlando dei consumi: quella che descrivi mi sembra una situazione complessa e ricca di contraddizioni che può essere riferita alla società nel senso più lato del termine e non solo alla comunità LGBT+. Il tema della “messa a valore” delle differenze sembra attraversare oggi più di ieri il mondo del lavoro (sia dal lato della produzione che da quello del consumo), rivelando una trama di tensioni e dinamiche molto complesse e difficili da interpretare in una modalità univoca. In questo senso, la vicenda storica della “micro” comunità LGBT+ attraverso le epoche si presta bene come esempio e come spunto di riflessione per l’analisi delle “macro” dinamiche che riguardano la società nel suo complesso. La comunità LGBT+ ha elaborato nel tempo una grande varietà di strategie per “sbrogliare” questa complicata matassa, molte delle quali in aperto conflitto tra loro. Le dicotomie si moltiplicano: diritti o rivoluzione, rispettabilità o trasgressione, integrazione o asocialità, politiche identitarie o intersezionali. La chiave intersezionale è quella che viene sempre più diffusamente adottata nella riflessione e nella militanza LGBT+ proprio perché, nello scenario che descrivi, è cruciale che la questione del potere, e quella a essa connessa dell’accesso differenziale alle risorse materiali e simboliche, da parte delle diverse soggettività nella comunità LGBT+, non restino in secondo piano.
Una cosa che la storia che racconto mostra è che, per quanto riguarda la comunità LGBT+, nel passato è stato proprio il confronto, a volte anche doloroso, tra le diverse “anime” e le diverse istanze del movimento a fare da sprone al dibattito, all’approfondimento, all’immaginazione di nuove strategie e anche, di volta in volta, a un “reality check” sull’attendibilità e l’affidabilità degli alleati e sulle reali intenzioni degli avversari. Tutte lezioni preziose per il nostro presente.
PULP Come detto sopra il tuo è comunque un libro di storia, perché è importante questa dimensione? Perché questa necessità in Occidente di definire la “normalità” a partire dal XVIII secolo?
M.D.L. Come spiego nella prima parte del libro, molte cose cambiano nel modo in cui vengono viste le identità e le sessualità queer a partire dalla fine del Settecento, in corrispondenza con tutta una serie di fenomeni di portata socio-politico-culturale decisamente eccedente rispetto alle questioni di genere e sessualità strettamente intese. Alle origini del nostro mondo contemporaneo assistiamo infatti a una profonda ridefinizione del profilo dei nuovi “cittadini” e delle nuove “cittadine”, che si carica di nuovi significati e di nuovi imperativi legati alla cura della “popolazione” dei nuovi stati-nazione: l’imperativo della difesa dei confini della comunità, rivolto ai cittadini maschi, e quello della riproduzione del corpo sociale, rivolto alle cittadine femmine, disegnano profili di maschilità e femminilità prepotentemente incentrati sul virilismo guerriero dei primi, chiamati alla leva di massa, e sulla fertilità e sulla cura della prole delle seconde, chiamate alla riproduzione del corpo sociale. Il sapere medico, che proprio in questo periodo viene ad assumere pienamente lo statuto di una moderna disciplina scientifica, contribuisce fortemente a radicare in una presunta matrice biologica la “naturalità” di questi imperativi politici, risospingendo chi non vi si conforma in uno spazio che è, al tempo stesso, quello della mostruosità e della minaccia concreta agli equilibri sociali. Vista in questa luce, la nuova centralità della “normalizzazione” relativa alle sessualità e alle identità di genere proprio a partire dal XVIII secolo rivela una nuova serie di preoccupazioni politiche che investe tutto il corpo sociale: in questo senso, la centralità che assume nelle preoccupazioni di medici e giuristi la comunità LGBT+ non deve far dimenticare come lo spettro della stigmatizzazione, della patologizzazione e dell’esclusione sociale alla quale essa è sottoposta agisca con la sua efficacia normativa su tutta la popolazione.
PULP Nel libro racconti la triste storia che ha accumunato nel ‘900 destra e sinistra nelle reciproche accuse: omosessuali=comunisti / omosessuali=fascisti. Perché questa paura e questo odio erano così trasversali?
M.D.L. Come ho già accennato, una cifra del nuovo discorso normativo su sessualità e genere è quella di proporsi, malgrado i propri caratteri di novità e originalità, come un appello alla “natura” e alla “tradizione”, rispetto alle quali ogni “tradimento” viene letto come una vera e propria minaccia all’intero corpo sociale. In questo senso, non è così sorprendente che destra e sinistra abbiano condiviso un’adesione a una trama discorsiva comune giocata sulla rivendicazione del proprio “primato” nella difesa della popolazione, in opposizione al “tradimento” e al “traviamento” dell’altra parte.
PULP Merita un passaggio la posizione italiana sull’omosessualità durante il fascismo, che sembra dar ragione di una “tradizionale” opacità decisionale del potere italiano quasi ridicola se non fosse tragica nei suoi effetti…
M.D.L. Quello che dipinge la repressione fascista in toni “farseschi” in opposizione ai toni “tragici” di quella nazista è un luogo comune storiografico di lunga durata, ancora molto diffuso nel senso comune ma anche molto insidioso nelle sue implicazioni. Se infatti il carattere fortemente discrezionale dei criteri di punibilità dei reati connessi alle condotte sessuali e alle espressioni di genere è un diretto portato della mancanza di una legislazione specifica in questa materia, è vero, d’altra parte, che tale mancanza, più che rappresentare un limite della strategia di persecuzione attuata dal regime fascista, ne illustra dei tratti specifici. Questi tratti sono incentrati, da una parte sulla negazione dell’esistenza dei reati – in nome di un “italico virilismo” che esclude l’esistenza stessa delle persone queer sul territorio nazionale –, e, dall’altra, sulla flessibilità della norma, che espone tutta la popolazione a uno stato di costante incertezza e ipervigilanza sulla propria condotta e sul proprio aspetto. Una strategia, questa, che sebbene sia poco “appariscente”, non per questo risulta poco efficace o risibile.
PULP Il tuo è un libro di storia che però non si sottrae a dare indicazioni per il futuro quando ricorda che la teoria queer rileva una postura conservatrice nell’immaginare il futuro come luogo della riproduzione biologica e sociale di soggetti e modelli eteronormati. Che indicazioni possibili ci dà invece la riflessione sul futuro della teoria queer?
M.D.L. Il futuro individuato dalla prospettiva queer è sicuramente plurale, molteplice e intersezionale. Questo significa, prima di tutto, che, anziché individuare un modello identitario e relazionale univocamente (etero od omo)normato, si rivolge a una molteplicità di soggetti più accomunati dal “complesso particolarissimo dei rischi che per necessità [devono] correre” – per riprendere una espressione utilizzata da James Baldwin in relazione alla comunità nera –, che dal fatto di condividere un’identità collettiva. Dove il rischio e lo scarto dalla norma sono il primo comune denominatore, le alleanze, a loro volta, divengono strategiche, flessibili, e, soprattutto, dettate da un atto di volontà propria e non da un presunto determinismo, sia esso “biologico/genealogico”, “razziale” o di altra “natura”. L’invito è dunque quello, con le parole di Donna Haraway, a “generare parentele” fertili di nuovi immaginari e di nuovi orizzonti condivisi di r/esistenza.
PULP Inoltre dal tuo libro si evince che questa storia, queste resistenze e questo pensiero che guardano e agiscono da una posizione minoritaria, (intesa non in senso quantitativo quanto di potere) proprio in virtù di questa qualità hanno la capacità e la potenzialità di fare un discorso che mette in questione il sistema binario maggioritario e si interroga ad esempio anche sulle questioni ecologiche e ambientali …
M.D.L. Tra i tanti binarismi che questa prospettiva interroga, uno è senz’altro quello definito dal binomio “natura/cultura”, con quelli, a esso associati, di “umano/animale”, e anche di “vivente/non vivente”. La decostruzione, la de-naturalizzazione, se mi si passa il gioco di parole, di queste opposizioni ci arriva oggi con sempre maggiore insistenza anche dalle scienze ambientali, dalla biologia, dall’etologia, ma anche dalla chimica e dalla fisica che ci restituiscono uno scenario dai contorni sempre più sfumati, non solo per quanto concerne le presunte “opposizioni” legate al binarismo di genere, ma anche riguardo ai criteri di distinzione tra intelligenza umana e intelligenze animali, e, ancora, tra i criteri di auto-organizzazione della materia “inanimata” e di quella cosiddetta “vivente”.
Se l’immaginario del senso comune è ancora in larga parte ancorato a una prospettiva “scientifica” vecchia di oltre un secolo, oggi, paradossalmente, non sono solo le teorie queer a raccontarci un’altra storia, ma lo sono le stesse hard sciences. E questa storia è quella che, attraverso una prospettiva decentrata e, se vogliamo, “post-umana”, ci restituisce a una posizione, se non periferica, sicuramente non esclusiva, né separata, né tantomeno sovrastante rispetto al contesto del quale siamo globalmente parte. Le emergenze climatiche e ambientali dei nostri giorni registrano drammaticamente il carattere illusorio del “primato” umano sulle altre specie e sul proprio habitat. In questo senso, le teorie queer ci aiutano a ripensare anche in senso immediatamente letterale, il nostro ruolo e il nostro posto nel mondo.
PULP La nostra rivista si chiama Pulp con evidente riferimento ai libri popolari americani degli anni ’50 che sono ricordati da lei perché veicolavano surrettiziamente anche contenuti omosessuali e specialmente lesbici. Quali sono oggi i romanzi e i libri imprescindibili su questi temi?
M.D.L. Mi sembra di osservare, anche presso le persone che frequentano il mio corso, la centralità di “generi minori” come Young Adult, fantascienza, serie tv, fanfiction, nell’offrire spazi di rappresentazione e auto-narrazione. Si tratta di ambiti più aperti, nei formati e nelle modalità di circolazione, all’interazione con le audience e più sensibili alle variazioni nella sensibilità e nella domanda di queste ultime. Certo, proprio questi aspetti d’altra parte le rendono anche più suscettibili di riappropriazione e di omologazione da parte dei canali mainstream che, inseguendone il potenziale commerciale, finiscono per estinguerne la scintilla di novità che, tra le altre cose, aveva anche contribuito a generarlo. Ma sono sicura che nuove scintille si accenderanno.