Ivano Porpora, Nudi come siamo stati, Marsilio, pp. 335, euro 18,00 stampa, euro 9,99 ebook
Rari sono quegli autori capaci d’inclinare una visione di mondo modificando scopi e significati di un’unica parola. Soprattutto se italiani. Ci è riuscito Céline, che infatti era francese. Shakespeare, che, posto sia esistito, era inglese. E ce l’ha fatta Ivano Porpora. Che è, non “era”, italiano.
Di origini mantovane, Porpora è uno scrittore impossibile da incasellare. Attivissimo su rete, insegna scrittura creativa ed è stato autore per Einaudi del romanzo d’esordio La conservazione metodica del dolore. Dopo essersi confrontato coi linguaggi della poesia e della narrazione per bambini, nonché con un libro di fiabe per adulti (Fiabe così belle che non immaginerete mai, LiberAria Ed.), Porpora torna con prepotenza nella narrativa tout-court col romanzo di formazione Nudi come siamo stati.
Dentro questo mattoncino di carta, che ogni lettore forte merita di ospitare nella propria libreria di casa, c’è tanto, tantissimo. Il linguaggio di Porpora fa sue importanti lezioni della letteratura classica, ma facendo poi uso di un montaggio del testo moderno e di gusto attuale penetra nella pelle dei personaggi – e dei lettori – strato su strato, fino a denudarli secondo le intenzioni ben espresse nel titolo.
È una storia d’amore e di sospetto, di apprendimento e di trasformazione, ma pure di complesse relazioni tra padre e figlio, tra passato e presente, tra uomini che vivono pienamente sensazioni che non temono d’interrogare. Oppure lo temono, moltissimo. Come la domanda che di continuo tarda ad affacciarsi sulle labbra di Severo, il protagonista. Vive con Anita e riceve brevi missive dal padre, talmente singolari e destabilizzanti nel loro dare forma a un rapporto a pezzi che fanno quasi ridere, e nel tessuto del romanzo rappresentano forse la parentesi più grottesca – e non per questo comica.
Ma il personaggio che difficilmente vi uscirà dalla testa, e che può darsi possa spingere anche voi a porvi “la” domanda della vostra vita, è Arsène, il pittore francese di fama internazionale da cui Severo si reca a prendere lezioni. Lezioni che mai una sola volta tendono a imitare il concetto accademico di “lezione”, giammai: Arsène dipinge oltre. Nessun vocabolo saprebbe spiegarlo meglio di così. Dipinge oltre. Come la scrittura di Porpora, del resto, che in questo lavoro diventa la stessa cosa: dipinge oltre, si spinge oltre, con le parole e non coi colori. Finché tutto si scompagina.
Severo scopre di avere un tumore e che fra Anita e Arsène potrebbe esserci qualcosa. E poi, proprio Arsène: perché prendere sotto la sua ala un pittore microscopico, un artista sconosciuto e che difficilmente potrà toccare certe vette? Ma intanto, mentre Severo nel coltivare e indirizzare verso “certe vette” la propria indole creativa si trova costretto a fare i conti con la morte, quando invece vorrebbe e dovrebbe farli con la vita, c’è qualcun altro che i conti con la vita li ha già messi in pari e potrebbe desiderare, in qualche perverso e poetico modo, di trovarsi al posto di Severo.
Una cosa è certa: chi si troverà al posto del lettore che ha cominciato questo libro, sarà lo stesso lettore che l’ha finito. Ma vedrà il mondo con occhi diversi da prima. Fidatevi.
Anzi, direbbe Arsène: “Lasciatevi cadere”.
18 Ottobre 2017