Fra Andate & Ritorni, Djakarta e Gorgonzola (paese e formaggio sovrapposti), luoghi raggiunti in un lampo come afferrando forchetta e cucchiaio con la rapidità di un furetto poco prima del letargo, Aldo Buzzi sembrava sfuggito da un po’ agli orizzonti letterari e culinari. Ma per chi compiva novantuno anni nel 2001, dopo amicizie epocali con Saul Steinberg e Vanni Scheiwiller, si capisce molto bene come i tempi non fossero più adeguati. Non viceversa. E onore a Roberto Calasso quando decise di pubblicargli L’uovo alla kok (2002), libretto che sorprendentemente ebbe un certo successo, rasentando lo scrittore una qualche celebrità. Ma erano, appunto, altri tempi: la cucina divertita, unita ai viaggi estemporanei da Lambrate ai lontani luoghi del pianeta, si leggeva nei tomi dell’Artusi e del Brera in compagnia del Veronelli, non certo negli schermi piatti e gelidi di palinsesti TV.
Antonio Gnoli, nell’introduzione a questo strabenemerito volume curato da Gabriele Gimmelli per la Nave di Teseo, dice tutto, spiega tutto, e quel che manca (se manca) lo si trova nelle folte illustrazioni e negli apparati, nella riproduzione anastatica della prima edizione del Taccuino dell’aiuto-regista (Ponte alle Grazie, 2007) impaginato da Bruno Munari. Che desiderare di più? Nulla. A parte i volumetti in mille copie (ma qui riprodotti), con l’immancabile Saul Steinberg a corredo, stampati da Scheiwiller alcuni decenni fa. E in possesso di pochi.
Buzzi ricorda a qualcuno, per differenti vie e paesaggi, quell’altro irregolare che corrisponde al nome di Bobi Bazlen. Chissà perché, e chissà che i casi letterari s’incrocino per sentieri traversi, per sorprese lessicali, o in definitiva per visione del mondo. Quindi, il mondo triestino indugiante sulle rive del lago di Como. Buzzi adotta i generi più diversi da mettere per iscritto. Bazlen adotta i generi più diversi da far scrivere agli altri. Scetticismi esistenziali lanciati in trattorie di eresia gastronomica per l’uno, in letterature lontanissime e esotiche per l’altro. Un esempio? Il riso bianco quasi scotto diventa sovrano con un formaggio eccelso, mentre Chuang-tzu viene importato con la più perfetta vocazione sciamanica. Cose difficili e semplicissime nella gran piazza delle dimensioni spazio-temporali. E che dire della vocazione zen, intravista dai sodali e da chi desiderava differenti modi d’entertainment? La tradizione e l’avanguardia messe di peso nello stile solitario, assieme al talento gastronomico, in un perfetto realismo. Qualcosa di dirompente, si potrebbe dire. Irraggiungibile come quelle forme di Gorgonzola che meritatamente pretendono la maiuscola. Gnoli ricorda l’elogio della pastina in brodo: Buzzi detestava “la mano perversa dell’arredatore” nei ristoranti rinomati. Un lirismo che lo portava all’incommensurabile nostalgia delle mense. Se pensiamo ai disastri recenti dell’attualità cuciniera, come non provare un valoroso affetto per questo eretico di Como?
I canoni letterari talvolta imboccano vie che della tradizione se ne fanno un baffo, e riorganizzarsi per essi vuol dire lanciare intorno sommovimenti inediti, sofisticate decostruzioni e inattese opere sul punto di trasformarsi in classici. La lingua di Buzzi si riscopre in tutta la sua gioiosa novità: per insigniti happy few sostare nei pressi della tavola, apparecchiata sobriamente, significa affittare una dimora carica di salute. Aveva aria domestica, Buzzi, anche burbera a tratti, le consulenze editoriali (ecco che arriva Bazlen) per qualche tempo gli servirono a esprimere riserve per i bestseller e diffondere l’enorme capacità redazionale di scovare i refusi “come fossero criminali nazisti”. Gadda e Svevo per lui furono vittime della mancanza di amici che indicassero loro gli errori d’italiano. Passione per l’Ulisse di Joyce, non per Faulkner, tanto meno per Il dottor Živago, annota Gnoli nell’introduzione. Carattere intransigente come quello di Nabokov, aggiunge. L’amico di una vita, Saul Steinberg, ne sapeva qualcosa, e lui che veniva dal mondo dei cartoon per approdare alla pratica zen dello schizzo e del disegno-lampo seppe farsi dono (e fare dono) dei difetti di cui tutti abbiamo bisogno. Vedere per credere: l’incommensurabile Piccolo diario americano (All’insegna del pesce d’oro, 1974), ricco di menù stradali e pietanze. Tanti dettagli stravaganti in parole e disegni che paiono piccoli eroismi quotidiani, impolverati come soltanto a Ciudad de Mexico e New York sanno fare.
Buzzi ricreava i suoi luoghi ovunque: nel pieno centro di Gorgonzola improvvisamente innalzava una Siberia che era ben più di un semplice miraggio, o un’India convocata non come mero esercizio di stile. Quando Steinberg faceva emergere figurine dal vuoto, trasformandole in serissimi personaggi, a Buzzi bastava un tocco per posare sulla pagina i dettagli necessari a rendere tridimensionale una strada o un piatto: tutte escursioni in cui humour e malinconie culinarie la fanno da padrone. Stile e fantasmi per tutta una vita, solo che lo stile rimase per sempre come modo di pensare mentre i fantasmi si trasformavano ogni volta, e molto presto, in veri paesaggi e vere belle donne. Capito perché Buzzi e il sodale Steinberg non possono subire l’usura del tempo?