Questa storia non ha un inizio che si possa determinare in modo chiaro e univoco, ma riceve sicuramente una svolta fondamentale nel 2018, quando Wu Ming 1 firma un paio di articoli per Internazionale nei quali si indagano l’origine delle teorie del complotto e i possibili metodi per affrontarle. Nel primo di questi articoli – parte di un lavoro che è ora confluito nel monumentale La Q di Qomplotto (ed. Alegre, 2021 – ben 592 pagine!1!1!) c’è un passaggio che può suonare strano, ma anche avvincente, ora che si può leggere in accostamento al libro appena uscito.
Già nel 2018, infatti, Wu Ming 1 mette in relazione la prima stagione della serie tv True Detective con la presenza, nella cultura pop, degli Sra. La sigla sta per “abusi rituali satanici”, e la connessione si instaura, più specificamente, in questo modo: «La trama si incentra proprio su abusi rituali, compiuti da una rete di pedofili collegata al mondo politico, con riferimenti al (fittizio) governatore della Louisiana. Non è da escludere che proprio il successo di True Detective possa aver favorito il collegamento tra Sra e ambienti politici. Collegamento poi diventato automatismo, quasi una sinapsi culturale».
L’uscita, nel marzo del 2021, de La Q di Qomplotto mostra come Wu Ming 1 conosca molto da vicino le dinamiche di questo automatismo – a tal punto, anzi, che sembra del tutto lecito supporre che sia stato il fantomatico collettivo di autori italiano a tirare le fila anche della prima stagione della serie HBO. L’idea forse non piacerà a Nic Pizzolatto e soci, ma risulta confermata, in primo luogo, dal rapporto tra il cospirazionismo di QAnon – basato su una peculiare versione dell’Sra – e la prima opera letterariadi Wu Ming: Q (Einaudi, 1999) non è forse il segno prediletto anche da QAnon? Il qomplotto che campeggia sulla copertina dell’ultimo libro uscito per Alegre non inizia forse anch’esso per Q? Questa deviazione dalla norma grammaticale non è forse un segno in codice appositamente inserito nel titolo del libro ad uso e consumo specifico degli iniziati?
Come lo stesso Wu Ming 1 scrive (anzi: ammette) rievocando la stagione immediatamente precedente l’uscita del romanzo Q, quella del Luther Blissett Project, i confini tra la teoria del complotto, magari “di destra”, e la beffa mediatica, o la trollata, magari “di sinistra”, sono abbastanza porosi. Al tempo stesso, la beffa mediatica, o la trollata, si può distinguere con una certa facilità dalla diffusione mediatica delle teorie del complotto – teorie che, tra l’altro, secondo Wu Ming 1, sono meglio declinabili come “fantasie di complotto” (la parola “teoria”, in effetti, ha una tradizione un po’ più nobile!1!1!1!) – perché la prima riceve sempre una spiegazione, ex-post, che mette in chiaro “come sono andate realmente le cose”.
Naturalmente, però, più che le trollate à la Luther Blissett, sono state le fantasie di complotto a ricevere, negli ultimi anni, un’incredibile accelerazione dai social network (uno dei pregi nascosti de La Q di Qomplotto è la critica senza tregua di Facebook e dei suoi utenti, magari “di sinistra”, ma egualmente impigliati nelle tele algoritmiche), nonché dalla frammentazione e proliferazione stessa dei social nelle mani dell’alt-right e/o della destra neo-nazi (4chan e 8chan restano forse gli esempi più famosi, ma le sigle sono moltissime). In questo contesto, occorre allora procedere all’indagine sistematica di alcune questioni di più ampio respiro, che vanno dal livello più specificamente cognitivo al piano culturale e politico più generale, per dare una definizione più precisa della fungibilità economica e politica delle fantasie di complotto e per capire come queste, in genere, difendono il sistema, come si legge già nel sottotitolo del libro. Non lo criticano, di certo, né – a parziale disdetta della narrazione che è stata fatta degli eventi del 6 gennaio 2021 – lo mettono in crisi.
In tutto questo percorso, Wu Ming 1 si rivela un’abile guida – soprattutto nella prima parte del libro, vero e proprio page-turner su QAnon, sulla sua storia e sulle sue possibili interpretazioni – ma è anche una guida che mostra, parallelamente, con un po’ di ingenuità, il suo lavoro di insider… mostrando, insomma, di essere a conoscenza di maggiori dettagli, rispetto a True Detective, di quello che ci viene detto, fuggevolmente, nelle ultime pagine de La Q di Qomplotto…
Del resto, già nell’articolo del 2018, Wu Ming 1 descrive – con una grande naturalezza, ai limiti del naif – la presenza di un «perturbante gioco di specchi» tra il protagonista della prima stagione di True Detective, Rust Cohle, e i «detective dilettanti» che hanno percorso e stanno tuttora percorrendo le strade di QAnon, un dispositivo nel quale «il personaggio di finzione riflette un certo tipo antropologico, che a sua volta sembra rimodellarsi sul personaggio di finzione».
Sembra evidente come lo stesso Wu Ming 1 si sia calato di peso all’interno di questo gioco di specchi, scegliendosi, anche, con una certa cura gli antecedenti, tanto socio-antropologici (allo scopo di definire una tassonomia basilare, ma molto utile, per l’analisi delle fantasie di complotto) quanto letterari. In quest’ultimo ambito, in particolare, Wu Ming 1 non ricorre (come sarebbe stato logicamente prevedibile, forse) a quella “mappatura cognitiva” che era già stata proposta, come chiave interpretativa, da Fredric Jameson alla fine degli anni Ottanta, e collocata alla base della lettura paranoide – di una paranoia non poi tanto diversa dalla “mappatura” cospirazionista – dell’“estetica geopolitica” del cinema mondiale. [1]
Wu Ming 1 ricorre invece all’ala protettrice di un’eminenza grigia nazionale, e lo fa già nel 2018: «Umberto Eco aveva già fatto notare che spesso le fantasie di complotto sono direttamente influenzate da romanzi, film e altre opere di fiction. A questo tema dedicò il suo romanzo del 2010 Il cimitero di Praga». La Q di Qomplotto rincara la dose, ripercorrendo analiticamente un altro titolo di Eco, Il pendolo di Foucault (1988), e riportandone in vita i personaggi di Belbo e Diotallevi all’interno della seconda sezione del libro, una lunga sequenza onirica – a tratti, piuttosto sbilenca – che rintraccia i «filamenti di genoma transatlantico» di QAnon a partire dall’accusa del sangue antisemita circolante, ormai da millenni, in Europa. A differenza della prima sezione, dedicata quasi integralmente a QAnon, il lungo excursus storico nel quale si prodiga Wu Ming 1 in presenza di Belbo e Diotallevi – pur giustificato dalla legittima ambizione di pervenire a un quadro transatlantico della storia del cospirazionismo, spesso ingiustamente ritenuto un affare esclusivamente made in USA – si perde in mille rivoli, sfrangiandosi e moltiplicandosi verso una serie di direzioni e prospettive diverse, talvolta appena accennate.
Questa sezione, in ogni caso, ha il merito di soffermarsi con dovizia di dettagli su una storia che, nella seconda metà degli anni Novanta, ha avuto grande risonanza: si tratta della vicenda dei Bambini di Satana, recentemente tornata agli onori della cronaca in seguito alla morte del principale imputato, Marco Dimitri, peraltro sempre risultato non colpevole delle accuse a lui rivolte. Nelle vesti del Luther Blissett Project, il collettivo Wu Ming si era già interessato alla questione alla fine degli anni Novanta, intervenendo nel dibattito con alcune azioni volte a rendere pubblicamente manifesto il ruolo determinante della copertura mediatica nella costruzione e nell’evoluzione della vicenda.
Inoltre, Wu Ming 1 ha buon gioco anche nell’evidenziare la presenza, nella storia dei Bambini di Satana, di uno script transatlantico, che si era già consolidato negli Stati Uniti nel corso degli anni Ottanta, a partire da un libro come Michelle Remembers (1980) dei coniugi Pazder. Lo script tornerà anche nelle successive storie dei “diavoli della Bassa” – ricostruita dal celebre podcast “Veleno”, del 2017, a cura di Pablo Trincia e Alessia Rafanelli – e, in tempi più recenti, nelle vicende, in corso di accertamento, legate a Bibbiano. Su un piano non strettamente politico, poi, la questione degli Sra è ancora oggi al centro di interpretazioni diverse nel campo della psicologia forense italiana, con un importante documento come la Carta di Noto – già approvata, in una sua prima versione, nel 1996 – che non è ancora stata accettata da alcune associazioni operanti nel settore.
Nemmeno con questo, però, si esauriscono i motivi di interesse per La Q di qomplotto, che non si limitano, dunque, alla ricostruzione del caso QAnon, o alla storia transatlantica delle fantasie di complotto giunte poi alla definizione dello script degli Sra. Si può citare, a titolo di esempio, il capitolo di “cerniera” fra la prima e la seconda parte, “La virulenza illustrata (5 febbraio – 3 novembre 2020)”, che chiama in causa – in funzione del titolo e di alcuni stilemi adottati nel capitolo – La violenza illustrata (1976) di Nanni Balestrini per raccontare la presente crisi pandemica e il correlato fiorire di “complottismi”, nonché delle operazioni ideologiche, di segno opposto, nei confronti dei cosiddetti “negazionisti del Covid” (verso i quali, fatta salva ogni diversità di posizione, si è attivata l’operazione retorica della reductio ad Hitlerum, un dato già di per sé molto utile per un’ipotesi il più possibile “laica” sulla vicenda).
Un’altra fra le parti più convincenti del libro è immediatamente precedente a questo capitolo, con la critica di quelle operazioni di debunking – allargate dal piano delle fake news a quello delle fantasie di complotto – che troppo spesso si appiattiscono, secondo l’azzeccata espressione di Wu Ming 1, sulla «sindrome del foratore di palloncini». In altre parole, per quanto una critica serrata di alcuni presupposti fallaci delle fake news o delle fantasie di complotto sia sempre possibile, la “mappatura cognitiva” che presiede, in senso paranoide, alle fantasie di complotto non ne è quasi mai alterata in modo significativo; inoltre, più che puntare, spesso con un certo snobismo, verso il raggiungimento di un superiore disincanto rispetto al mondo, è utile provare la strada del re-incantamento, come segnalato da un saggio ripetutamente citato da Wu Ming 1 e che risulta prezioso compendio alla lettura di questo libro, ossia Favole del reincanto. Molteplicità, immaginario, rivoluzione (Derive Approdi, 2020) di Stefania Consigliere. D’altronde, il punto focale della critica dei “complottismi” non sta nell’affermazione di una presunta superiorità cognitiva, critica o intellettuale, ma nello studio della loro origine e nel capire Come le fantasie di complotto difendono il sistema, per poterle poi affrontare dialetticamente.
In fondo, sembra dirci Wu Ming 1, la partita di QAnon si è giocata, più che altro, sul piano della legittimazione di un sistema politico ed economico già esistente contro un fantomatico nemico, chiamato “Cabal”, ritenuto potenzialmente capace di prendere il potere in modo autoritario e violento e per questo combattuto… proprio da quelle forze detentrici di un vero potere politico ed economico, non di rado gestito in modo concretamente autoritario e violento (leggi, il blocco filo-trumpiano, almeno fino a inizio 2021).
Combattere le fantasie di complotto, allora, non è molto diverso dal continuare una lotta già iniziata prima, e ben più articolata di una semplice azione, spesso autolegittimante, e in modo sterile, di debunking. In questo, la letteratura ha sempre avuto un ruolo fondamentale, come avevano già segnalato, in modi molto diversi, Fredric Jameson e Umberto Eco. E anche Wu Ming, dai tempi di Q.
E anche da quelli della prima stagione di True Detective.[2]
NOTE
[1] Si veda The Geopolitical Aesthetics: Cinema and Space in the World System di Fredric Jameson (Indiana University Press, 1992), ancora – incredibilmente!1!1!1! – non tradotto in italiano.
[2] Ciò che si insinua, dal titolo fino all’ultima riga, non è affatto vero – naturalmente…!1!1! (Ma poi non così tanto “naturalmente”: l’espediente retorico dell’attribuzione a Wu Ming 1 dell’autorialità di True Detective non intende essere un goffo tentativo di clickbait; al contrario, si vuole simulare tale tentativo, contiguo ai territori delle fake news e del cospirazionismo, allo scopo di saggiare i limiti dell’approccio critico nel territorio giustamente delineato da Wu Ming 1 come “oltre il debunking”; in altre parole, dove la critica dell’ideologia e la demistificazione evidenziano sempre di più i loro limiti culturali e politici, rivelando lo snobismo della «sindrome da foratori di palloncini», come si può operare all’interno della lettura critica di un testo, magari partendo proprio da una narrazione sulle fantasie di complotto come La Q di Qomplotto?).