Qualche anno fa Flammarion pubblicava una raccolta di poesie di Houellebecq, scrittore che non ha lasciato indietro alcun genere letterario a quanto si sa (e si sa molto), né si è fatto mancare la regia di un film, (di cui invece si sa quasi nulla, forse non per caso), tratto da La possibilità di un’isola del 2005.
Il romanzo Sottomissione, uscito nel 2015 con una somma di polemiche non da poco, usava diligentemente la fantascienza in quello strano modo col quale alcuni autori di genere diventano sciamani e profeti come se avessero in mano i testi sacri dell’umanità andati perduti nelle antiche e sconosciute ère. Ma lì si parlava di una Parigi sotto elezioni, e della conseguente vittoria dell’Islam. La Le Pen sconfitta da un presidente musulmano. Cambiamento epocale di un sistema consolidato. Descrizioni particolareggiate, nel consueto stile di Houellebecq, di eventi politici, rivolgimenti finanziari e intellettuali, e di prestazioni sessuali semi-pornografiche. Dice niente tutto questo? Peccato che il romanzo venne pubblicato lo stesso giorno dell’attacco terroristico alla redazione di Charlie Hebdo. Potendo, i francesi, avrebbero impiccato l’autore pur avendo disposto il blocco della distribuzione. Dopo le mutazioni genetiche delle prime opere, lo scrittore si dedicava alle metamorfosi politiche mondiali. Non male per un europeo dal fisico indigesto e dal carattere non meno disturbante. La sottomissione, vitale e sessuale, per amore e per denaro, diventa la nuova strada filosofica e sociale concedente una sopravvivenza d’appetibile rilievo. Nel libro è descritto qualcosa di pesante, una specie di follia lucida che, a conti fatti e dopo alcuni anni, non sembra più tale. Da qui il carattere profetico e urticante dell’opera.
Tornando alle poesie, Configurazioni dell’ultima riva, cosa vi troviamo dentro di persuasivo ed efficace, oltre ai precisi rispetti metrici? Vi alloggiano decine di micro-catastrofi, collettive e personali, o rivolte a persone conosciute, secondo l’ormai classica norma adottata da Houellebecq per cui ogni “configurazione” umana è biologicamente destinata al fallimento. Nessuna ragione adeguata a trovare la conoscenza. Nessuna possibilità d’essere amato, con successiva paura della morte. Una strana dolcezza accampata in pieno gelo. Dunque chi s’inoltra nei memorabili titoli inventati dallo scrittore ha come l’impressione di trovarsi dentro a qualcosa di profondamente umano e, in contemporanea, di profondamente pericoloso. Come se l’attualità storica non fosse quella “vera”, come se tutte le influenze poetiche fossero inventate da un’entità estinta da molto tempo. È probabile che qui si riscontri un debito personale con Philip K. Dick, da parte mia e forse dell’autore, il cui vero nome (tanto per dire) è Michel Thomas, nato nell’isola d’oltremare Réunion e poi cresciuto in Algeria. Le non-verità da anni ormai trascinano la nostra psiche in un territorio che si vede e non si vede, esistente e non esistente, proprio come le “particelle elementari”. La casualità del mondo ci appare tale all’insegna della nostra incapacità congenita e biologica. Uno scrittore così non poteva non esistere: “Dove sono io? / Chi siete voi? / Che ci faccio qui? / Portatemi dove volete…” E infine: “Je suis peut-être fou”.
In questo primo mese del 2019 italiano e francese esce Serotonina, nuovo romanzo e nuova incursione nella chimica dei farmaci e del corpo umano, con tanto di chiarimenti terapeutici sulla sostanza e sull’avvenenza di certe fanciulle dall’aria, tanto per cambiare, iper-desiderabile. Costoro, sotto lo scanner micidiale di Houellebecq, hanno quasi sempre “un leggero tocco da zoccola”, e sono dotate di culo ipnotizzante. Fosse soltanto per questo, Houellebecq sarebbe odiato dalla maggioranza delle donne, ma dato che le cose non sono mai tanto semplici, credo che la detestabilità possa estendersi a un pubblico più folto. Ma tant’è. Perfino de Sade ha estimatori insospettabili, figurarsi chi può decretare in qualsivoglia circostanza, nel bene e nel male, istinti modaioli e acchiappi da parte della cultura “alta”. E, per riferirci all’arte, sappiamo bene quanto L’origine del mondo di Courbet non sia per niente un dipinto scandaloso.
La spigliatezza chimica, al centro del romanzo, fa confluire i diversi stampi della “poetica” a cui Houellebecq si dedica da un bel po’ di anni, la creazione di un odio martellante e le bozze di manifesti tutt’altro che garbati si spingono ben oltre aridità e scortesie non nuove ai frequentatori. D’altronde anche le poesie affermano che ci si sposta di continuo verso il vuoto. E mi viene in mente l’ottima traduzione di Alba Donati e Fausta Garavini, poiché non hanno temuto il distillato osceno dell’autore.
Forse a Houellebecq non si rizza più da un pezzo, visto che in un testo poetico si afferma: “Quande on ne bande plus, tout perde peu à peu de son importance”. Non sarà un verso memorabile, ma la scansione del senso di una vita è inequivocabile. Esistessero altri poeti contemporanei in grado di affondare in tal modo nei grumi dell’esistenza mondiale! E di affrontare in solitaria tutte le dissociazioni presenti, vive e risonanti, sul pianeta Terra. Ora abbiamo il concentrato di serotonina nei nostri armadietti casalinghi, l’uso che se ne fa potrà essere gratuito o auto-erotizzante, ma qualsivoglia creazione potrà avvalersene, è pur sempre una molecola “dedicata all’uomo”.
E le ultime righe del nuovo romanzo, a dir poco, sono sorprendenti.