Lucy van Alstyne ha diciotto anni e un figlio di nove mesi. Chi potrebbe essere il padre proprio non lo sa. Eppure sono trascorsi solo due anni dall’assurdo omicidio della madre, da quel periodo di sbandamento, depressione e sesso promiscuo. Ma a Winnipeg, Manitoba, Canada, dove Lucy si è appena trasferita, poco importa saperlo. Soprattutto quando, come altre donne single, devi ingraziarti ogni mese i servizi sociali per garantirti un tetto sulla testa e sfamare la prole. Un lavoro, insomma. Una lotta (di classe). Che, sin dal primo giorno nella Residenza Half-a-Life – casa popolare per ragazze madri – la giovane protagonista di La mia estate fortunata si appresta a combattere, affiancata dalla generosa e stramba Lish, con le sue quattro figlie, da Terrapin, Mercy, Sarah, Pillar, Teresa: una scombinata bizzosa ma incrollabile sorellanza, levigato controcanto all’assolo di Lucy.
“Fare figli era facile. Non avevamo scelta: ce ne dovevamo occupare e questo decideva per noi (…) prendere il sussidio e avere figli nello stesso tempo era un lavoro. Chi lo dice che non guadagnassimo i nostri soldi?” Tutt’altro che genitrici fataliste e lamentose – tipo soap opera brasiliana che alcune all’Half-a-Life amano sciropparsi – le donne di Miriam Toews non hanno tempo di piangersi addosso, irrigidirsi in un copione scritto per loro dal welfare. C’è da scarrozzare Dillinger su un passeggino traballante, arredare dignitosamente un piccolo appartamento, affrontare, altrettanto dignitosamente, il caldo, le zanzare e un’alluvione che, di lì a poco, si abbatterà sulle regioni centrali del Nord America. E, dulcis in fundo, “cercare” a tutti i costi Gotcha, il padre busker che le due gemelle di Lish non hanno mai conosciuto.
Lucy, dea ex machina, ha un piano ben preciso. Un viaggio on the road (leit-motiv di altri romanzi successivi della scrittrice canadese) verso il Colorado con amica e bimbi al seguito, una storia inventata, un pegno d’amicizia. O un complicato atto d’amore.
Gioiosa e travolgente opera prima, con Summer of My Amazing Luck (1996) Miriam Toews gioca squisitamente con i classici della sophisticated comedy hollywoodiana, ribaltando in chiave lower class l’esclusivo gineceo di Donne di George Cukor (dialoghi spumeggianti, come lo champagne a basso costo che Lucy e Lish talvolta si concedono, ma la qualità, si passi la metafora, è da Dom Pérignon d’annata), fatta eccezione per padri distanti e pretendenti impacciati.
Hart e Geoffrey van Alstyne entreranno in punta di piedi nella nuova vita di Lucy, letteralmente coinvolti (c’è da far nascere un bambino!) in un universo femminile ricco e stravagante. “(…) penso di essere felice, mi sento felice. Non so perché. Ho Dill. Sono giovane. Siamo in viaggio. Succedono cose. Dovrebbe bastare per essere felici” filosofeggia Lucy con l’ottimismo confuso della giovinezza.
Il conflitto e la fuga – che già hanno marcato la vocazione letteraria della Toews – son di là da venire. La lunga estate calda (e piovosa) di Lucy e Lish è una promessa screziata.