Luciano Anceschi, in uno storico doppio numero del verri (1986), definiva Massimo Bacigalupo “competentissimo” sul tema Pound. E c’è da credergli, se nei successivi decenni abbiamo potuto godere di interventi, traduzioni, commenti di vario genere, nonostante l’argomento non sia facile né pacifico, che anzi ha sempre prodotto varie irritazioni fin dagli anni di Rapallo, fin dagli anni turbinosi e movimentati in cui furono scritte e date alle stampe le cosiddette “Stesure” dei Cantos. Ma alla prova dei fatti la poesia quasi sempre ha ragione, e provoca effetti smaglianti sulla scrittura e sul modo d’intenderla.
Figurarsi se uno come Pound non potesse provocare effetti del genere, proprio con il congegno mirabolante ed effusivo dei 116 Cantos, di cui qui abbiamo la pubblicazione dei primi 30, che risalgono come edizione al 1930. Dobbiamo ricordare che proprio Bacigalupo risulta essere l’artefice informato e scrupoloso, da vero compagno di strada, della fortuna italiana di una vasta compagnia di poeti le cui opere hanno avuto non poca influenza sulla poesia del nostro paese (basti ricordare Eliot, Cummings, Stevens, Dickinson, Laughlin).
Certo quest’edizione tascabile potrà servire al viaggiatore disincantato, giovane o fintamente âgé, che conserva endemici capricci letterari, riccamente illustrati dai decenni novecenteschi, le cui citazioni spesso provengono proprio da lì, dall’odissea tragica (ma anche umoristica, come ci viene suggerito) dell’opera iniziata (già nel 1915) come una gara con la Commedia dantesca. I nuovi lettori troveranno il ribollire continuo, le ridondanze e le fantasmagorie che Pound non si è mai fatto mancare, insieme ai tratti oscuri, famigerati, che hanno la loro origine in questioni privatissime e derivate da studi che possiamo considerare del tutto dimenticati.
Certo gli anni in cui inizia la stesura sono ben definiti, scienza psicanalisi e letteratura sterzarono bruscamente dalla visione del “senso comune” sconvolgendo per sempre la traiettoria del pensiero umano. Bisogna anche dire, seguendo Bacigalupo, che nei primi Cantos si trovano a manciate citazioni ed evocazioni dal Rinascimento e d’altre epoche, e che le fonti reggono il gioco. Il viaggio di scoperta intrapreso ha forti rimandi, ondate e bonacce, e si scorgono ovunque tracce veneziane, liguri ed europee, seguendo l’arnese caleidoscopico dell’esule. Lo svago dunque non manca nel crogiolo avventuroso e magico dell’opera.
E divertente è l’esprit di Bacigalupo quando scrive (in un articolo recente) che per molti maturandi la lettura dei XXX Cantos può servire da ripasso dei programmi scolastici, essendovi contenuti tipi come Omero, Dante, perfino Ovidio. Nello stesso fascicolo del verri (curato, non dimentichiamolo, dall’americanista genovese), fra le altre poesie, c’è un piccolo testo di Basil Bunting, quasi uno sketch, intitolato “Sul risvolto dei Cantos di Pound”, dove le Alpi (“picchi per matti”) sembrano poste nella stessa luce del poema, come fossero costruzioni insensate e da osservare da lontano aspettando “che crollino”.
Certo l’arguzia dell’umorista non mancava al poeta, e forse nemmeno l’impianto dell’amicizia. E l’avventura inizia con testimonianze dirette, di vita e di scrittura, nel bel mezzo di paesaggi salmastri, dolci o aspri, insomma l’Italia è uncinata nelle pieghe psichiche di quest’uomo nato in Idaho e morto a Venezia in pieno Novecento. Se si passa dalle parti dell’isola di San Michele, lo si sente ancora borbottare a bassa voce con l’amata Olga Rudge: sussurri e frammenti di versi vengono su dall’aiuola sempreverde che accomuna le due tombe.