Poeti s/tradotti – Poeti stranieri non tradotti. Charles Bernstein

This Line / Questo verso

  1. This line is stripped of emotion. / Questo verso è svuotato di ogni emozione.
  2. This line is no more than an / Questo verso non è niente di più che una
  3. illustration of an European / illustrazione di una teoria
  4. theory. This line is bereft / europea. Questo verso è privo
  5. of a subject. This line / di un soggetto. Questo verso
  6. has no reference apart / non ha riferimenti tranne che
  7. from its context / in nel suo contesto in
  8. this line. This line / questo verso. Questo verso
  9. is only about itself. / è solo su se stesso.
  10. This line has no meaning: / Questo verso non ha nessun significato:
  11. its words are imaginary, its / le sue parole sono immaginarie, i suoi
  12. sounds inaudible. This line / suoni inudibili. Questo verso
  13. cares not for itself or for / non interessa a se stesso né a
  14. anyone else – it is indifferent, / nessun altro – è indifferente,
  15. impersonal, cold, uninviting. / impersonale, freddo, non invitante.
  16. This line is elitist, requiring, / Questo verso è per l’élite, richiede,
  17. to understand it, years of study / per essere compreso, anni di studio
  18. in stultifying libraries, poring / in biblioteche demenziali, riversi
  19. over esoteric treatises on / su trattati esoterici su
  20. impossible to pronounce topics. / argomenti impossibili solo da pronunciare.
  21. This line refuses reality. / Questo verso rifiuta la realtà.

(All the Whiskey in Heaven, Farrar, Straus and Giroux, New York 2010).

Già il titolo crea problemi. Problemi di traduzione. Questo verso, in quanto elemento di questa poesia. Questa riga, nel senso più neutro di elemento di un testo qualunque, non necessariamente poetico. Questa linea – nel senso di segno di progressione, come tracciare una linea o anche tirare una linea di demarcazione o seguire una linea di pensiero. E viceversa. Tutti significati diversi e compresenti nella parola line e tutta la composizione gioca su questo andirivieni tra loro. Il verso – una riga speciale di un testo speciale – diventa anche una riga di un testo che supera il limite tra ciò che è poesia e ciò che non lo è.

Il primo verso invece non lascia spazio a dubbi o equivoci. Un luogo comune domina da tempo immemorabile: il pensiero alla filosofia, le emozioni e i sentimenti alla poesia. Non è detto, la poesia può essere pensiero con altri mezzi – meglio, “la filosofia fa una cosa sola,“ – Iris Murdoch – “la letteratura ne fa molte.”.

La dismissione dell’emozione implica, più generalmente, il congedo dall’interiorità. Conseguenza logica è lo spodestamento del soggetto (umano) (4-5. This line is bereft / of a subject; ma subject può anche significare oggetto, argomento, materia di un discorso). Il centro stabile, autoriflessivo e sovrano sui propri pensieri ed emozioni se ne va. Segnale ne è anche, laddove compare, il prevalere del pronome neutro di terza persona it (esso; 14, 17) e i suoi derivati its (7, 11; suo, suoi), itself (13; se stesso/a). L’io cede il passo al verso, alla lingua, meglio, alla lotta infinita e mai conclusa tra un soggetto labile e decentrato che tenta il possesso del mondo attraverso la lingua, e la realtà sempre in eccesso rispetto a essa. È qui che nasce l’apertura alla possibilità illimitata di nuovi significati (10. This line has no meaning): non un significato ma significati diversi, contro le regole di una “’polizia’ discorsiva” della lingua che – Foucault – “si deve riattivare in ciascuno dei suoi discorsi”.[1] Il tema non è tuttavia la volatilità della parola. La ripetizione quasi ossessiva del dimostrativo This all’inizio di frase entra in contrasto e smentisce la sostanza puramente incorporea del verso (11.its words are imaginary): questo questo questo … di questo, qui e ora, si sta parlando, di questa realtà, con queste parole. E l’essere immaginarie o immaginate significa anche che è pur possibile immaginare parole altre, oltre l’ordine esistente, per mettere in discussione le mezze verità, il senso comune che le forme del discorso e i modi di espressione costruiscono nell’uso corrente della lingua. Klee: “L’arte non ripete le cose visibili, ma rende visibile”. Non riproduce il reale, esplora l’invisibile; non è una copia, è un processo. Così la poesia. Rende “le parole visibili” – Bernstein –, e “vedendo il linguaggio operare, possiamo cominciare a liberarci dall’obbedirgli forzosamente”. È un programma poetico politico vero e proprio. Perché – Barthes – “la lingua non è né reazionaria né progressista; essa è semplicemente fascista”, non impedisce di dire, ma obbliga a dire. Non si può parlare se non utilizzando “ciò che ricorre continuamente nella lingua”, non appena la si usa si mette al servizio del potere che ne determina l’ordine, i sensi, la distribuzione. E allora non resta che la letteratura, non resta “che barare con la lingua, che truffare con la lingua”. Diversi altri mezzi sono messi in atto per questo imbroglio.

La reiterazione del dimostrativo (This) si accoppia con l’enjambement violento, il limite di verso non si accontenta di separare soggetto e predicato (5-6.This line / has no reference), ma arriva a separare l’articolo (2-3.an / illustration) o il possessivo dal nome a cui si riferisce (11-12; its / sounds). E nello stesso tempo salda un verso a quello successivo, realizzando due obiettivi opposti: spezzare il flusso grammaticale delle frasi e contemporaneamente spingere in avanti per rendere compatto, più omogeneo lo scorrere dei versi; creare aspettativa dopo il limite di verso e distensione nella ripresa del verso successivo; tensione e lassità, secondo il pulsare del cuore e del ritmo musicale.

Il confronto/scontro con il linguaggio predomina assolutamente. Una frase dichiarativa segue l’altra, strutturata più o meno nella stessa forma regolare in una sequenza ordinata, che intende riprodurre l’essenzialità, la chiarezza e anche la monotonia della lingua ordinaria. Ma la negazione che le decostruisce rovescia il senso, è incastonata nei versi (no, not), continua nel corpo stesso delle parole (12.inaudible; 14.indifferent; 15.impersonal, uninviting; 20.impossible), e nella scelta di parole con senso per lo più privativo (1.stripped; 4.bereft; 6.apart; 9.only; 16.elitist; 21.refuses). Culmina nel’ultimo verso, che riassume il senso di tutta la poesia: rifiuto della realtà così com’è, rifiuto della lingua così come parla normalmente di questa realtà.

Presentandosi nella forma del linguaggio corrente e ordinario, la poesia è un attacco a tutto tondo alla sua pratica e costituzione. Se usiamo la lingua per dar forma all’esperienza, e obbediamo alle convenzioni che la reggono, allora anche l’esperienza ne esce anticipata e predeterminata. Si tratta allora di far giocare figure grammaticali, figure di pensiero e figure foniche per cercare di demolire le convenzioni attraverso le quali il lettore è abituato a trarre significato dai testi, da quelli poetici in particolare ma non solo. L’aggettivo che assegna la comprensione della poesia solo a un gruppo ristretto (16.elitist) è immediatamente e automaticamente contraddetto dalla successione e dalla struttura piana dei versi.

Una lotta con la lingua contro la lingua. Impresa peraltro rischiosa assai. Perché sembra che  forzare le convenzioni linguistiche non lasci alla lingua poetica altra possibilità che un ruolo reattivo e negativo. Oppure il naufragio nell’incomprensibilità, come nella poesia “AZOOT D’PUUND”, che comincia così:

iz wurry ray aZoOt de puund in reducey ap crrRisLe ehk nugkinj […]

e finisce così:

[…] eEkingh. iStl. AgggG.

Poeta e saggista, Charles Bernstein è nato a New York City nel 1950. È stato fondatore – insieme  con Bruce Andrews, Ron Silliman, Lyn Hejinian, Rae Armantrout e altri – della corrente poetica denominata L=A=N=G=U=A=G=E, dalla rivista apparsa negli anni 1978-1981. Ha pubblicato dozzine di libri, ha insegnato nella State University of New York a Buffalo e nella University of Pennsylvania. Ha ricevuto numerosi premi per la sua attività poetica e resta una delle voci più importanti nel panorama poetico letterario degli USA.

[1] M. Foucault, L’ordine del discorso, Giulio Einaudi editore, Torino 1970, p. 28: “È sempre possibile dire il vero nello spazio di una esteriorità selvaggia; ma non si è nel vero se non ottemperando alle regole di una ‘polizia’ discorsiva che si deve riattivare in ciascuno dei suoi discorsi”.