Poesia ribelle sul confine del mondo

Cosa vuol dire oggi poeta? Come entra la poesia nella vita di una persona ? Coincide con la parola nuda, con il libro appena pubblicato o piuttosto con la sua performance? Daniela Zambrano racconta la sua esperienza come un esperimento di ribellione, un procedimento trasformativo non privo di risvolti pratici, approdato al "mondo della poesia" dopo una vita che si scrivono versi.

Se sono qui” … recita il primo verso di una mia poesia. [1]
“Pare strano a me” usare il termine “poesia” per indicare le mie parole come mi vengono a trovare, specie al mattino, nel dormiveglia, quando non sono ancora del tutto presente a me stessa. Scrivo versi, prosa poetica/poietica, nonsense, poelitica, per certi versi, poesia politica ferita da tanta bruciante indifferenza di fronte al dolore dell’altra persona. Faccio questo, scrivo questo. Sto nelle cose, mi faccio prossima e mi faccio confine.
Tempo fa una collega (faccio l’insegnante) diceva in un’interclasse: il giorno tal dei tali avremo in aula il poeta XYZ e sarà sicuramente un bellissimo incontro perché, si sa, un poeta…
Cos’è unǝ poeta? Una bestia rara o in via d’estinzione? Una sorta di figura aliena testimone della vita su un altro pianeta?
Cos’è unǝ poeta?
Secondo Baudrillard, il linguaggio poetico è «qualcosa come il nocciolo di un’anti-economia
politica — dal momento che la sua è un’operazione — senza equivalenza, senza accumulazione, senza residuo. (…) È l’insurrezione del linguaggio contro le sue stesse leggi. (…) È una festa dello scambio (…) la restituzione dello scambio simbolico al centro stesso delle parole.» [2] E così è essa stessa rivoluzionaria. [3]
Così affascinanti le considerazioni di Baudrillard che basterebbe solo questo a farmi impegnare per il resto della mia vita nell’attività poetica, per potermi sentire anch’io almeno un po’ rivoluzione.
Il mio libro inizia con Niente e finisce confine! Nel senso che “Niente” e “Fine” sono le prime
parole, rispettivamente, della prima e dell’ultima poesia pubblicata nel volume Poesie scelte uscito nel novembre 2023 per la collana Nuova poetica della casa editrice Transeuropa; ma anche nel senso che, con la pubblicazione di questa silloge, ho fatto qualcosa di coraggioso: fidarmi della parola.
E l’ho potuto fare solo distanziandomi dal centro, portandomi sulla linea di confine che separa me dal mondo. Terra di nessuna persona, il confine; terra di ogni persona, terra di passaggio, “lingua di terra senza (più) grammatica”, terra drammatica; sul confine non si mettono radici, non si innaffia e ara il campo, non ci si stende al sole, non si raccoglie la pioggia, sul confine si transita e ci si incontra.
Si è apolidi, si è esseri umani.
Inizio con “Niente” perché è questo il mio debutto. Prima non c’è niente che valga la pena di raccontare. Ecco quanto.
Finisco con “Fine” perché la fine è il momento presente, quello in cui si vive, laddove il futuro è ancora un sogno, una scommessa, il divenire che si presagisce, si prospetta, si insinua. Partire dalla foce per risalire la corrente, è il mio procedimento.

Daniela Zambrano, Poesie scelte (Transeuropa, 2023)

È il procedimento conoscitivo della storica che per studi e formazione sono; rifaccio la storia anche di me stessa, nella continua riscoperta delle mie parole, attraverso la rilettura, la ripetizione, l’esasperazione nel grido, nel canto della loro esposizione.
Ho una cara amica dalla quale ricevo molto sostegno, grande fiducia; riporto un suo commento, dopo aver letto i miei versi, perché credo abbia saputo decisamente meglio di me riconoscere la mia emergenza: scrive che le mie parole perforano i corpi muti e sfondano muri. Il libro di una donna che ordisce il nascere femmina.
Ecco cosa mi dice. Mi parla di operazioni che provocano rotture e tengono insieme. L’azione del rompere non vuole distruggere, ma aumentare il proprio spazio interno, cercare altre dimensioni, senza però andare a pezzi, cadere a terra, “sulle piastrelle del bagno”, ma rimanendo corpo di pezzi connessi dai fili del Ragno. Sono io che mi sono rotta, sono crepata dentro, e non per un qualche dolore, per un tradimento, per un’offesa, ma proprio in termini fisici per il bisogno impellente di “esserci”: mi sono aperta, fatta a pezzi, e sono rimasta così, fratturata, bucata.
Un’altra persona che stimo tantissimo, della mia parola dice essere concreta, materica, anche nella scelta compositiva, poiché opera una vera e propria occupazione dello spazio bianco della pagina, a sua discrezione, non si lascia semplicemente adagiare.
È poesia underground (e non che ne abbia avuto coscienza), che si fa col corpo, nel corpo, il proprio e l’altrui, si inventa, è processo artigianale.
Scrivo da molti anni, praticamente da quando sono bambina. Scrivo versi, principalmente, e riflessioni, moltissime.
Banale, chiaramente. Credo che tutte le persone che scrivono partano più o meno da un’esigenza antica nella propria autobiografia.

Mi ribello da molti anni, praticamente da quando sono bambina. Ribellione per me significa
rifiutare e protestare contro tutte le autorità che, se da bambina ho subito, non tollero più.
Forse questo è meno banale, considerato che alla mia età, quarantatré anni, persone coetanee hanno smesso da tempo di farsi molte domande. Sarebbero insostenibili le risposte, se mai arrivassero.
Proprio in virtù di questa istanza ribelle, un giorno mi sono detta: esci dalla tua stanza. La scrittura  non è mai qualcosa di esclusivamente privato; in particolar modo, la poesia.
Ho pubblicato con questa idea in mente, di essere uscita dalla mia stanza per intessere discorsi, per nutrire storie, per un potlach da cui non si muore.
Nella vita, ho scritto molto e molto perso, essendo nata in anni di insospettabile persistenza della parola. Molto è perso non perché sia introvabile, ma perché non mi appartiene più, è persa quella bambina adulta che fu. Al suo posto, ci sono almeno altre quattro bambine che sommate danno luogo alla mia figura di donna. La bambina adulta ha lasciato il posto a un’adulta di bambine. Questa capacità di trasformare è della parola, è la sua qualità propriamente creativa: è il suo essere teatro, il suo potenziale ambiguo, il suo essere lama che incide la tela.
Non è bastato, però, pubblicare per “esserci”. Il libro è bene che circoli, la parola che contiene è bene che si dica, si ascolti, si ripeta, si burli, si fraintenda; altrimenti, si finisce per vanificare l’essere uscita dalla stanza.
Mi trovo dunque nella seconda fase di questo percorso, quello della pubblicità che chi scrive fa della propria scrittura pubblica.

Cascina Autogestita Torchiera senzacqua

Va specificato che il mio è un percorso che è iniziato dalla fine (dal suo punto privilegiato sul confine) e ora cerca di ricomporsi. Un percorso ribelle come me.
Iniziare dalla fine equivale a pubblicare e poi farsi conoscere, o tentare di farlo nella giungla metropolitana. Generalmente, mi dicono persone più esperte di me, si fa il contrario: è prima che si tessono relazioni, non dopo. Che fatica, la ribellione!
Ora, per farsi conoscere bisogna presentare il proprio lavoro; ma come presentare la mia parola poetica?
Se la poesia, ancora più di altri generi letterari, ha un piccolo attentissimo pubblico, come raggiungerlo? Dove intercettarlo?
Contattare le librerie è una strategia; come per le case editrici, diversi tentativi non ottengono neanche una risposta. La questione è la medesima: non hai una storia pregressa, difficile ottenere un po’ di attenzione.
Penso e ripenso a questa faccenda, fino a che non decido di provare, anche qui, a rompere un po’ di luoghi comuni: non sarà una presentazione con lettura, ma una performance. Con musica di tastiere e synth. Alcuni oggetti di scena. Degli odori. La mia recitazione. E basta, per terminare con lo spoiler.
Forse, per il momento, il percorso non può ancora essere dei più classici, bisogna farsi le ossa: quale posto migliore per iniziare che un centro sociale autogestito, la cascina occupata Torchiera senz’acqua di Milano. L’appuntamento è lunedì 5 febbraio, dalle 21 con cena popolare. [4].

Tentando, nel mentre, di incuriosire altri ambienti che, davanti alla prospettiva di una performance, non sono più solo librerie ma anche locali, spazi autogestiti, strade, perfino case. Con la realizzazione di una performance, mi sono interrogata sulla possibilità di mancare di fiducia nella parola. Potrebbe però essere inteso diversamente il mio esperimento artistico: si tratta della consapevolezza che la “se-duzione” passa per tutti i sensi. Se l’ascolto di una lettura finisce per essere inficiato da rumori di sala, chiacchiericci, disinteresse generale, quella stessa lettura, immersa in un contenitore di sollecitazioni, in una macchina delle suggestioni, si fa dinamica e irradia le sue possibilità di entrare in relazione: in chi ascolta è ogni parte di sé, allora, che partecipa dell’evento, ne è parte integrante. Eccolo il discorso che si tesse, eccolo l’incontro, eccolo il confine.
Non è affatto per un’insicurezza di fronte alla parola nuda che da muta diviene adulta, ma la considerazione di tutti i possibili modi di ascoltare. L’orecchio non è altro che l’organo deputato per antonomasia, ma non è certo l’unico o il migliore.
Una prima embrionale esperienza l’ho fatta con gli AlterBej [5] il dicembre scorso (2023), quando, in un freddissimo pomeriggio, tra i gazebo con il mio libro in mano, fermavo le persone perché lo aprissero su una pagina a caso di cui avrei letto, per loro, la poesia saltata fuori dal mazzo.
Esperimento che, per quanto ardito per le temperature, mi ha molto divertito ed emozionato: vi ho avuto l’impressione che ogni persona nell’ascolto potesse trovare ciò che voleva in quelle parole polisemiche, polifoniche, poligone come me. È stato il battesimo fuori dalla stanza.

NOTE
[1] Le espressioni che compaiono tra virgolette nel testo sono tratte da Poesie scelte di Daniela Zambrano, Transeuropa, Massa, 2023, rispettivamente alle pp. 15, 32, 13, 5
[2] Jean Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, Milano, 1979; pp. 208, 244, 211, 217, 219.
[3] ivi, pp. 218, 219.
[4]  Cascina Torchiera, Piazzale Cimitero Maggiore, 18 – Milano (MI)
[5] Mercatino natalizio di S. Ambrogio con dj e artisti, figlio della tradizionale fiera milanese degli “Oh Bej Oh Bej”.