“Voglio dire: avete mai voluto qualcosa con così tanta forza da far scomparire tutto il resto?”. Questa la domanda schietta e diretta che nel prologo di Uomini di cavalli il protagonista Lucio ci pone. E mentre cerchiamo di trovare una risposta adeguata al suo quesito, veniamo letteralmente catapultati nella vitalità del racconto, in una trama così suggestiva e originale che nel panorama letterario contemporaneo non sembra trovare eguali.
Lucio e il suo amico Ferro sono due ragazzi adolescenti e determinati: caparbi, tenaci, e soprattutto risoluti nel voler raggiungere il loro obiettivo: diventare i migliori cavalieri professionisti mai esistiti. “Era la nostra vita. Ed era bello poter soffrire in funzione di un traguardo. Fusi in un unico obbiettivo” è il pensiero di Lucio. Questo romanzo è anche il racconto della loro relazione, un’amicizia unica ed esclusiva che, seppur con delle incomprensioni e delle divergenze che creeranno delle fratture, rimarrà indissolubile e salviica per entrambi.
La storia è narrata in prima persona da Lucio, e non è mai espressamente dichiarato che il romanzo possa contenere riferimenti autobiografici, o che possa addirittura essere un’autobiografia dell’autore, ma è assodato e palese che nelle sue pagine troviamo precisi indicazioni e riferimenti alla vita dell’autore. Troviamo il cavallo Caligi (con cui Pietro Santetti fece delle gare) e il cane Tonno, animali reali le cui foto troviamo anche nei profili social. Potremmo pensare che la scrittura di Santetti sia un’urgenza di condivisione con un pubblico più vasto, la necessità di narrare un mondo che ha vissuto profondamente e che gli è appartenuto per molti anni nelle vesti di cavaliere professionista in Italia e all’estero sino all’anno 2015. Forte il desiderio di condividere temperamento e risolutezza unito alla presentazione la realtà relativa al mondo delle gare ma anche il bisogno di mostrare una realtà, quella delle gare di cavalli e cavalieri con tutti ciò che gravita loro intorno: affanni, dolori, e ingiustizie e soprusi forse mai al pari di soddisfazioni.
Il romanzo è suddiviso in tre parti e dieci sono i capitoli, ciascuno di essi anticipato da un prologo poetico che apre la porta a quanto si leggerà subito dopo nel cuore degli avvenimenti. Il tono del racconto è appassionato e verace, colorito da locuzioni toscane e da frasi veloci e amicali dei due ragazzi diciannovenni. Nelle pagine c’è la forza descrittiva dell’amore profondo per i cavalli, con i loro sguardi che sembrano voler confidare segreti e sentimenti, ma che è anche amore concreto per la loro pulizia e la pulizia delle scuderie (ne annusiamo nitidamente gli odori); c’è il duro lavoro fatto per il loro addestramento, lavoro che inizia alle quattro del mattino e termina a notte fonda; c’è lo sfinimento fisico del corpo quando arriva sera, la prostrazione mentale creata dalla stanchezza.
E poi c’è il vigore delle frasi che l’autore utilizza quando narra del salto durante la gara che dev’essere perfetto sull’ostacolo, salto che rende cavaliere e cavallo un nucleo inscindibile, nutrito da una profonda e reciproca fiducia tra i due. Ma in questo contesto leggiamo anche la violenza e le bastonate che il cavallo può subire per essere educato a raggiungere gli obiettivi prefissi. Leggiamo anche quanto sia sfrontata la ricchezza e la spregiudicatezza che si palesa intorno alle corse e ai proprietari dei cavalli, spesso ricchi e prepotenti commercianti. Le donne invece appaiono ricche e arcigne o sottomesse alle scelte di padri e mariti; o, ancora, benché innamorate, deludono e tradiscono, con scelte personali che escludono i propri compagni. Infine idealizzate perché non più in vita, come accade per la madre di Lucio.
La tecnica di scrittura di Santetti non ha un piglio sentimentale che desideri creare empatia con il lettore: piuttosto l’autore ha sempre uno sguardo determinato e determinante di chi vuole gestire in prima persona ogni accadimento con il proprio corpo, fisico e mentale, esasperandolo e portandolo a situazioni estreme: la fatica necessari ad assistere i cavalli, la mancanza di sonno, il digiuno perché il tempo per mangiare non si trova (però c’è la voracità di ottenere vittorie e gloria), la ricerca ossessiva della perfezione. Perché essere cavaliere, uomo di cavallo, è uno stile di vita, è rigore morale e fisico, è continuo allenamento: con questa predisposizione l’autore riesce a coinvolgere profondamente il lettore, sembra metterlo in sella al cavallo mentre si gareggia. Ambizione, amicizia, cavalli e molti ostacoli da superare in vita e in gara, Uomini di cavalli è la narrazione di una potente ambizione che fa diventare Lucio e Ferro uomini, con cadute e scelte di vita in grado di immobilizzarli da ogni punto di vista. Il romanzo li fa ritrovare uniti, è anche la sconfitta che prelude la crescita. Uomini di cavalli infine, e per molte ragioni, non è soltanto un romanzo di formazione.