Un giorno, dopo brevi e non frequenti scambi epistolari intercorsi in questi anni, lo incontrerò finalmente di persona Piero, questo dottore, questo psichiatra, anarchico e appassionato, che considera Basaglia il suo maestro ma che si propone di scavalcarlo, di dare una svolta radicale e affascinante alle terapie psichiatriche ponendo fine alle strettoie farmacologiche targate Big Pharma, a ogni forma di contenzione, non solo fisica, e di rinnovare il rapporto stesso fra paziente e terapeuta. Piero che ha circa una decina di anni meno di me e che – a giudicare dalle foto – appare un bell’uomo dallo sguardo sincero e, a leggere le sue pagine, uno scrittore colto e icastico, ironico e “visionario”, nel senso più creativo e migliore del termine.
Questo suo ultimo libro, che giunge dopo i numerosi pubblicati quasi tutti per la benemerita editrice anarchica Eleuthera – La società dei devianti (2016), Basaglia e la metamorfosi della psichiatria (2018), La fabbrica della cura mentale (2013 e 2021), Il manicomio chimico (2015 e 2023), ecc. – osservando con piglio argomentato e critico il cosiddetto rinascimento psichedelico, fenomeno riportato in auge dal successo letterario di divulgazioni intelligenti come quelle di Michael Pollan o da studi scientifici come quelli di Carhart-Harris (a questo proposito rimando al nostro speciale sulla psichedelia), dopo decenni di oblio prodotto dagli eccessi degli anni ’70 sulle derive del Turn On, Tune In, Drop Out, della politica dell’estasi di Timothy Leary, auspica una svolta terapeutica, in senso sciamanico, clinico ma anche sociale, che renda di nuovo disponibile a chi ne senta il bisogno – esistenziale, spirituale e sanitario – l’esperienza trasformativa concessa dalle piante sacre, l’aiuto delle molecole psicodislettiche ed enteogene, che rischia altrimenti di restare – com’è attualmente – risorsa limitata a una ristretta élite di fighetti privilegiati.
Un libro breve ma pieno di cose, quello di Cipriano, utile, per chi non ne fosse pienamente a conoscenza, anche per riflettere sui maggiori snodi della questione psichedelica ripercorrendone gli sviluppi principali attraverso i riferimenti agli autori e studiosi che maggiormente l’hanno configurata: Michael Harner, antropologo divenuto sciamano; Terence McKenna, esploratore dei funghi magici, il cibo degli dei, e della DMT; Rick Strassmann, avviato a una sintesi tra psichedelia e buddismo che individua nella DMT la molecola dello spirito; Dale Pendell e la sua controversa trilogia del Pharmako (di cui abbiamo già parlato); Jeremy Narby, anche lui antropologo, indagatore della più inafferrabile tra le sostanze psicotrope, l’ayahuasca, la bevanda dei morti, che è un po’ il filo conduttore e la protagonista di questo libro.
L’ayahuasca, conosciuta e somministrata un po’ in tutta l’Amazzonia in molteplici e diverse preparazioni, anche sotto il nome di yage, proviene da una liana, la Banisteripsis caapi, che inibendo l’attività di speciali enzimi a livello gastrico (Mao Inibitori o IMAO), permette l’assorbimento di un composto altamente psicoattivo presente in altre piante, di solito la Psychotria viridis – contenente DMT, dimetiltriptammina – provocando un’alterazione profonda della coscienza che, secondo gli sciamani, i curanderos, gli ayahuasqueros o vegetalistas, purificherebbe il corpo (attraverso il vomito) e l’anima, sanata dal contatto con gli spiriti degli antenati e non solo. In Brasile si sono originati culti sincretici dall’assunzione di ayahuasca, come il Santo Daime, la Barquinha, l’Uniao do Vegetal, ma una religione organizzata mal si intona alla natura libera e selvaggia di questa potente tecnologia chimica di catalisi spirituale. Cipriano espone tutti i fatti noti rispetto alla sostanza, refrattaria ad una sintesi chimica univoca di un singolo alcaloide, come quella ottenuta da Albert Hofmann sulla Claviceps purpurea o Ergot, per la dietilamide dell’acido lisergico (LSD), sui funghi magici per la psilocibina, o sui cactus, come il peyote e il San Pedro, per la mescalina: l’ayahuasca viene usata – soprattutto dagli indigeni – come semplice liana, senza componente allucinatoria ma con effetti solo oneirofrenici-phantastici e purificanti, o con aggiunta di altre piante contenenti DMT, con forti effetti visionari – soprattutto nella sempre più diffusa “esportazione” presso i non-indigeni. L’ayahuasca è dunque sfuggente e multiforme: la composizione chimica, estremamente variabile e volubile, non influisce sui risultati quanto il rituale (il set e il setting direbbero i rinascimentali psichedelici…), quanto gli icaros, i canti che lo sciamano intona sul “paziente” e che la pianta stessa gli ha insegnato.
Il passo successivo è per Cipriano prendere spunto da queste esperienze sciamaniche di guarigione dell’anima, le cosiddette peak-experiences, per andare oltre Basaglia e tentare una sintesi con Stanislav Grof, ex psicanalista freudiano fondatore della psicologia transpersonale: “Non è necessario usare gli psichedelici con gli psicotici per renderli ragionanti come noi. È necessario semmai usare le molecole psichedeliche con i sani, i normali, i ragionanti […] per renderli aperti a una coscienza non ordinaria, quella coscienza con cui gli psicotici (definiti tali perché non riusciamo a comprenderli) hanno dimestichezza, per rendere un po’ psicotici, transitoriamente, pure i sani. […] Non più dunque i dipartimenti di salute mentale, i centri di salute mentale o i servizi psichiatrici di diagnosi e cura con le loro orribili fasce; non più i servizi per le tossicodipendenze, gli psicofarmaci e le psicoterapie degli studi privati, le cliniche, le parcelle di cento euro per un’ora di colloquio. Rituali stantii che fanno parte loro stessi della malattia…”. Il sogno di un ospedale psichedelico.
Luoghi ameni, boschi, oasi di energie positive. E farmaci psichedelici, utili come tanatodelici per i malati terminali, contro le dipendenze e la depressione, contro “entità diagnostiche e zombie impasticcati a vita”. Questa è la lezione dell’ayahuasca e, come direbbe Harner, della via dello sciamano: “È necessario sostituire i farmaci della coartazione della coscienza con farmaci che la espandano. È necessaria una nuova generazione di terapeuti che impari la tecnica di gestione degli stati di coscienza espansi, che si faccia insegnare il segreto dai signori del limite, dalle guide della soglia…”.
Quando ci incontreremo prima o poi, io e Piero, avrò molte cose da chiedergli e forse allora, di persona, me le dirà. A chi lo importuna su Facebook invece, con domande indiscrete su contatti, luoghi e persone, risponde sempre, un po’ secco ma molto saggio: “Non sono un tour operator”.