Un rinnovato interesse verso la classicità sta attraversando negli ultimi anni l’editoria italiana – segno di un’urgenza mai davvero sopita, che spinge a tornare al passato per cercare una risposta alle eterne questioni dell’umano. La casa editrice il Mulino, da sempre attenta a questi temi, ha recentemente dedicato spazio alla “Voce degli antichi”, una serie di agili volumi in cui vengono offerte letture d’autore dei classici, corredate da traduzioni dei testi proposti, affinché il commento incoraggi un nuovo approccio all’originale. A inaugurare il filone è Piero Boitani con il suo Ovidio. Storie di metamorfosi, un omaggio avvincente al poeta latino e alla cifra di calviniana leggerezza che caratterizza il suo capolavoro immortale.
Le pagine dello studioso sono animate da passione autentica e, proprio per questo, coinvolgono il lettore in un viaggio colto e colmo di inesausta meraviglia. Dopo aver fornito gli strumenti chiave per cogliere i molti significati di questo carmen continuum, di questo canto che senza interruzioni intona la storia mitologica dell’universo, Boitani sceglie alcuni momenti particolarmente rilevanti del poema e se ne fa a sua volta aedo. Così, imbracciata un’ideale lira, eccolo raccontare il mutamento di Dafne, che chiede di essere trasformata in albero di alloro pur di sfuggire all’inseguimento sgradito di Apollo, e poi la tragica metamorfosi di Narciso in fiore, dopo essere stato consumato dall’amore per la sua stessa immagine; e ancora l’ardire di Icaro, che sfida la legge paterna per vincere l’oltre, e il subire di Proserpina, che dell’oltre è vittima nonostante la devozione per l’amore materno.
“Tutto muta, nulla muore”, “tutto scorre, e ogni immagine si forma nel movimento”: è “la sostanza stessa della poesia delle Metamorfosi, del divenire che le domina”. A ben vedere, però, non è soltanto l’energia del mutamento a far vibrare l’opera ovidiana, ma anche l’accettazione del buio che talvolta abita il cosmo e la vita stessa, come se un’ombra aleggiasse perennemente sul tempo e sulla storia, gettando un arcano turbamento sulle cose del mondo: la radice del conflitto e della violenza, come nella vicenda dell’infanticida Medea; le lacrime dell’abbandono e della perdita, quelle di Arianna e di Orfeo, privati entrambi dell’amore che sa farsi presenza.
Quella vertigine che proviamo di fronte ai nostri abissi non può essere in alcun modo scongiurata, sembra suggerirci Ovidio con i suoi racconti immaginifici, ma al fondo buio della sofferenza dobbiamo imparare a dir di sì, perché il destino con i suoi imponderabili rivolgimenti scompiglierà ogni previsione. Talvolta il riscatto per il dolore connaturato all’esistenza è offerto proprio dalla poesia, l’armonia che vince di mille secoli il silenzio. “Il poeta sa di avere composto un libro che durerà per sempre: non lo potranno cancellare né l’ira di Giove, né il fuoco, né il ferro, né il tempo che tutto divora. Venga pure, quando sarà, la morte del corpo”, conclude Boitani parafrasando Ovidio. Come Orazio prima di lui, egli è consapevole della fama che lo attende: i suoi versi gli doneranno la metamorfosi più ambita, la gloria perenne, l’immortalità del nome, suprema aspirazione di ogni artista – forse, di ogni uomo.
Oltre la morte, vive indelebile il ricordo, il gesto diviene memoria e forgia l’identità di chi custodisce quel che è stato. Benché tendiamo a dimenticarlo, lo spettacolo del mondo allestito dagli antichi determina ancora il nostro modo di guardare – e così le luminose intuizioni di Ovidio, i suoi rapidi voli, l’energia trascinante del suo canto, le irresistibili visioni pagane che con arguzia svela ai suoi lettori. Nella modernità liquida di questi nostri giorni, nel disorientamento prodotto dalla precarietà del sentire, queste Storie di metamorfosi offrono allora davvero un appiglio per non lasciarsi trascinare apaticamente dalla corrente indistinta degli eventi.