La casa, gli interni domestici: se c’è una cosa che in questi ultimi anni di pandemia abbiamo imparato a rivalutare e a osservare con occhi nuovi, è il nostro rapporto con gli spazi delimitati eppure familiari delle stanze, silenziose testimoni della vita che imperterrita vi scorre.
Di case, fisiche e metaforiche, si è riempito anche il panorama editoriale, che ha visto moltiplicarsi i titoli in cui le dimore assurgono a spunti narrativi centrali, dal Libro delle case di Andrea Bajani a L’altra casa di Simona Vinci, passando per la casa parlante di Questo giorno che incombe, di Antonella Lattanzi, solo per citarne alcuni.
La raccolta Le stanze del tempo di Piera Ventre, pur inserendosi a pieno titolo in questo filone, è un’opera meravigliosamente unica, che spicca per intensità e poesia, regalando al lettore felici attimi di quella sospensione attiva dalla realtà che solo la grande letteratura sa offrire. Il libro è composto da venticinque racconti, autonomi e tuttavia collegati gli uni agli altri dall’unica voce narrante, precisa e soave; racconti che sono altrettanti fermi immagine su momenti di quotidianità dai quali si dischiudono mondi, vite intere celate dietro porte, finestre e cancelli che diventano i custodi di un’intimità rara e preziosa.
Le parole di Ventre sono scrigni che nascondono moltitudini di sentimenti, evocati da vocaboli dal sapore antico i quali, come rinnovate madeleine, operano nel lettore rimandi emozionali travolgenti eppure sempre ancorati a realtà concrete, oggetti capaci di raccontare universi unici in cui è tuttavia impossibile non specchiarsi. Vista da vicino, ogni stanza è imperfetta, ed è proprio dalle imperfezioni che nasce la magia con cui l’autrice incanta, illuminando angoli polverosi densi di storie, liberando l’energia racchiusa in un giardino abbandonato o in una parete scrostata.
Le storie raccontate da Ventre sono delicate e profonde, parlano di affetti, di malattie, sfiorano la morte e l’amore con tocco gentile e intenso, si soffermano sui particolari per rimandare all’universale. In tutte, un tratto emerge comune: l’autenticità (“la bellezza spogliata dagli orpelli”) a dispetto dell’artificio, la ricchezza del vissuto a dispetto della perfezione asettica. Allora, la casa apparentemente impeccabile di Matilde, una volta tolta la maschera e svelato il trucco, si rivelerà per l’artificio che è, con le sue porcellane sbeccate ad arte e i ritratti a olio di illustri sconosciuti appesi alle pareti; e se l’ossessione per la pulizia di Arianna nasconde un trauma infantile, la semplice fattezza delle stanze e del mobilio della casa di Eliana è invece lo sfondo perfetto per la nascita di un’amicizia sincera e speciale.
Leggere Le stanze del tempo è salire in soffitta e aprire il baule dei ricordi, con la memoria addolcita dagli anni e le emozioni in gola mentre si sfogliano albi di fotografie ingiallite, dove i protagonisti ritratti hanno conservato gli occhi accesi e sembrano voler raccontare la propria storia, o almeno la propria versione dei fatti. Perché dalle stanze di Ventre non emanano verità indiscusse, solo sussurri di possibilità, incroci casuali di un destino comune su cui, prima o poi, si poserà la polvere. Come un vaso prezioso in frantumi che venga riparato con la tecnica giapponese del kintsugi, queste pagine sono il filo d’oro che con cura estrema rimette insieme i pezzi frastagliati dell’esistenza, in stanze attraversate da correnti d’aria, preda degli insetti e dell’usura ma, sempre, ascoltate e vissute, fino in fondo.