La prima edizione completa delle Lettere di Pier Paolo Pasolini era stata pubblicata da Einaudi a metà degli anni Ottanta, per la cura del cugino Nico Naldini e, da allora, il materiale epistolare – nel già enorme corpus bibliografico pasoliniano – si era andato via via ingrandendo tramite pubblicazioni di varia natura, compresi i quotidiani. Quale migliore occasione, quindi, del centenario della nascita di PPP per raccogliere tutti questi brani sparsi? Questa volta la nuova edizione delle Lettere è stata pubblicata dall’editore storico di Pasolini, con la preziosa curatela di Antonella Giordano: Nico Naldini, curatore e protagonista dell’epistolario, è venuto a mancare nel 2020 non potendo vedere ultimato il libro, uscito quindi monco della prefazione che avrebbe dovuto scrivere. Ad ogni modo, nonostante la considerazione precisa di Giordano per cui “un epistolario, per sua natura, non sarà mai completo”, il lavoro di ricostruzione è imperioso e l’apporto di oltre trecento testi aggiuntivi, di cui almeno un quarto inediti, accende un faro su numerosi filoni tematici ed esistenziali presenti sulla già ottima prima edizione, giustificando pienamente il costo del volume.
Se svariate scritture autobiografiche e personali non sempre rendono giustizia all’umanità dell’autore – si pensi al Mestiere di vivere di Pavese e alle sue pagine più torbide – le lettere pubbliche e private di PPP sono in grado di offrire il panorama di una vita bigger than life e della grandezza personale e artistica di un autore polarizzante come è stato Pasolini. In una miriade di registri, esiti molteplici di uno stile comunque unico e riconoscibilissimo, il quadro che ci consegnava l’epistolario già dalle prime edizioni è quello di un ritratto in piedi (e a tutto tondo) di un uomo e di un artista perfettamente conscio delle proprie complessità contraddittorie e in grado di negoziare a viso aperto con esse. Inizialmente, la prosa epistolare di Pasolini – salvo forse per il carteggio sempre delicatissimo con l’amica Silvana Mauri – risente del mondo culturale della GIL, in cui si configura da subito come un personaggio di prim’ordine. La sua voce, però, si libera pienamente a partire dalla morte del fratello Guido a Porzûs, per poi acquisire piena maturità con la cesura della fuga a Roma dovuta al processo per corruzione di minores.
L’arrivo a Roma lo costringe alla necessità materiale di guadagnare con il lavoro culturale, accettando ogni genere di impiego: si evince così dai carteggi come si strutturi non solo lo stile, ma anche l’abilità professionale di Pasolini, il quale sfruttando ogni contatto e appiglio possibile, passa rapidamente da reietto potenziale a figura cardine nel mondo culturale prima italiano e poi mondiale.
La grande schiettezza e onestà, persino nella spregiudicatezza con cui richiede ed elargisce raccomandazioni, invece di renderlo antipatico al lettore, aumentano l’empatia verso il suo percorso umano e non possiamo che commuoverci sottilmente quando cambia il registro nei confronti di numerosi protagonisti della letteratura italiana del Novecento, man mano che da corrispondenti diventano veri e propri amici. La grande abilità nel giocare alle regole del mainstream senza sacrificare la sua indipendenza di cane sciolto, trapela anche dal carteggio iniziale con Livio Garzanti per Ragazzi di vita: la sofferenza per doversi morigerare negli aspetti più scabrosi del romanzo ha come contraltare il distacco verso l’integrità del proprio materiale se questa integrità rischia di comprometterne l’uscita e il relativo compenso. L’aspetto pratico e stacanovista dell’approccio pasoliniano alla professione culturale emerge dalle continue scuse per i ritardi nelle risposte, dovuti agli impegni su innumerevoli fronti. Con gli anni Sessanta, infatti, l’epistolario si assottiglia: ormai PPP è troppo importante e troppo impegnato. Inoltre, l’uso del telefono si fa più frequente (come rilevabile dai testi) e le lettere diventano comunque più brevi, mentre la produzione cinematografica fagocita spazio a quella letteraria come tematica principale.
Definire in cosa gli apporti di questa edizione Garzanti allargano il paesaggio che emerge già dalla prima edizione non è opera semplice, ma le aggiunte e gli inediti sono talmente consistenti che bisogna almeno trattarli per sommi capi nelle loro linee essenziali. Per orientarsi in questa versione espansa dei carteggi pasoliniani è di sicuro sostegno l’ottimo profilo biobibliografico iniziale: oltre a introdurre alla vita e alle opere dell’autore, riesce a evidenziare i collegamenti con le lettere, soprattutto quelle inserite per l’occasione e gli interventi inediti. Purtroppo, manca – e sarebbe stata assai utile – un’eventuale appendice di brevi profili biografici dei destinatari: se all’uscita della prima edizione per Einaudi, molti di loro erano ancora noti protagonisti della scena, a distanza di decenni il contesto storico e culturale del trentennio descritto nelle lettere rischia di disorientare il lettore non specialista, che può dover cercare frequentemente diversi nomi nell’enciclopedia.
Scendendo nel dettaglio, le interpolazioni più importanti (giustamente citate già nella prefazione) sono il diario epistolare scritto al fratello Guido dopo la sua morte e la lettera a Maria Callas, ma oltre a queste due gemme i nuovi apporti sono svariati, anche se non riguardano, come logico aspettarsi, gli amici e i collaboratori che Pasolini frequentava più assiduamente di persona (fanno eccezione alcuni brani per Elsa Morante). Ad esempio, nel periodo giovanile, spiccano lettere ad altissima intensità emotiva e di grande rilevanza, come quella all’amico Ermes Parini (scomparso in Russia e che ispirerà a Guido Pasolini il suo nome di battaglia) e a Pina Kalc, riguardo al loro rapporto travagliato durante il periodo casarsese. Tralasciando interventi occasionali, i quali – per quanto interessanti – non aggiungono niente all’epistolario originale se non una maggiore completezza, i materiali raccolti dal lavoro di ricerca di Giordano e Naldini si possono dividere in alcuni filoni principali.
Uno di questi riguarda la corrispondenza con i “friulani”, sia gli amici dell’Academiuta (Naldini incluso) sia altri scrittori come Elio Bartolini, il cui carteggio non era ancora presente, o Biagio Marin. Se l’epistolario con Novella Cantarutti colma una lacuna della prima edizione, i contributi a Ercole Carletti e Luigi Ciceri gettano nuova luce sui rapporti fra Pasolini e la Società Filologica Friulana, in particolar modo sulle divergenze di natura politica ed estetica. Non molto consistente, ma di sicura rilevanza, è la corrispondenza con gli intellettuali cattolici della Pro Civitate Christiana, fra cui il biblista don Andrea Carraro, compagno di viaggio in Israele per Sopralluoghi in Palestina: oltre a fare luce su alcuni aspetti della lavorazione del Vangelo secondo Matteo, le lettere offrono uno scorcio ulteriore sulla posizione travagliata fra Pasolini e il cattolicesimo.
Il filone invece più corposo dei materiali raccolti e inediti riguarda i carteggi con gli scrittori, finalmente riuniti in un unico volume: dopo avere scandagliato i fondi personali di numerosi autori, l’opera ne esce impreziosita dalle lettere a Paolo Volponi, Enrico Falqui, Gianna Manzini, Alfonso Gatto, Sergio Solmi, Attilio Bertolucci, Giorgio Bassani, Andrea Zanzotto e molti altri, fra cui spicca Giuseppe Ungaretti. Se non ci sono particolari novità per quanto concerne gli scambi epistolari con gli scrittori del gruppo di Officina – salvo una lettera a Leonetti sulla questione di Valle Giulia – le integrazioni da evidenziare riguardano forse i carteggi con Gianfranco Contini e Franco Fortini, ma anche quello con Mario Dell’Arco riesce a delineare meglio il rapporto di sordida conflittualità fra lui e Pasolini.
Un capitolo a parte riguarda poi le lettere di supplica e raccomandazione, i cui nuovi contributi sono piuttosto corposi: si va dall’appello in Vaticano per ottenere notizia sul padre prigioniero in guerra alla lettera per chiedere una buona parola al pretore per la questione del primo processo, per arrivare alle svariate e sfacciate richieste di voto ai principali premi letterari. Di quest’ultimo gruppo fanno parte le uniche due lettere ad Aldo Palazzeschi e, soprattutto, l’unica lettera a Salvatore Quasimodo, poeta per cui PPP provava una vera e propria idiosincrasia (“pugnettario delle parole”).
In una miscellanea conclusiva, bisogna citare fra gli interventi, almeno la corrispondenza con un medico calabrese sulla visione pasoliniana della questione meridionale – antitetica alla retorica consolatoria e neoborbonica – nonché una lettera a Pietro Nenni sulla selezione dell’attore che avrebbe dovuto interpretare Cristo nel Vangelo. Merita menzione anche la corrispondenza con Vanni Scheiwiller, in cui Pasolini esterna le sue considerazioni trancianti sul caso di Ezra Pound, mentre l’ultimo testo – un inedito di poco precedente alla morte – è un memorandum alla cugina Graziella Chiarcossi su questioni lavorative. Significativo che a chiudere la raccolta sia un brano che ce lo ritrae indaffaratissimo e concentrato, prima che la sua vita venga spezzata sul litorale di Ostia. Meglio ricordarlo così, mentre si sfoglia quest’ultima versione delle Lettere, che districarsi fra le orazioni retoriche per il centenario, magari proferite proprio dagli eredi dei nemici storici di Pasolini.