Pier Luigi Amata / La vita ai piedi del ring

Pier Luigi Amata, Il pugile ragazzo, La nave di Teseo, pp. 395, euro 19,00 stampa, euro 9,99 epub

Un combattente, Jasper Geremia, nei quartieri popolari della Roma immersa negli anni Settanta: decennio dotatissimo di grovigli umani e sociali, tuttora oscuri e (forse) indagati, dove le nature umane si scontravano con modalità che sembravano definitive, e l’Italia ancora in bianco e nero doveva misurarsi con gerarchie pericolose e armate. In questo sgarbato guazzabuglio i sentimenti erano alleati a fragilità e maestose fantasie, sogni che il flessuoso e resistente Jasper allena ogni giorno sul ring, protetto da caschetto e paradenti mentre un avversario gli danza intorno e lui desidera soltanto l’inizio della contesa. Ma un evento che prende il nome di avance, da parte dell’allenatore, turba animo e quotidianità. Il mister non gli risparmia, con fare pettegolo e sguardo ben poco limpido, domande tese a indagare la sessualità privata del giovane, uno sguardo non certo disinteressato sull’immaginario erotico che si trova davanti: le corde del piacere vibrano soltanto per ragazze o anche per gli uomini? Identità sessuale? Figurarsi con che toni e in che termini, in quell’epoca italiana infarcita di luoghi comuni, equivoci e pensieri reazionari.

La palestra, i massaggi, gli episodi imprevisti, qualche salto ormonale inedito e non controllato, l’anemico interesse di una compagna di liceo, sono armamentario saturo di cartine al tornasole che saggiano la capacità di uno scrittore d’essere in vena o di ritrovarsi in una palude di strapazzi coloniali, che in Italia vuol dire adeguamento a autori nordamericani che dissero già tutto sull’argomento – un po’ per vizio, un po’ per noia, come s’usa dire. Ma i poeti nostrani ne hanno saputo molto di più, e di gran lunga, confrontando la loro idea di scrittura col resto del mondo: pensiamo alla triade Penna-Pasolini-Bellezza per cominciare, e ai numerosi e valentissimi compagni rispondenti a nomi distanti da fanatismi letterari: Arbasino, Testori, Busi, Coccioli, Siti.

Ma evitiamo uscite d’entomologo, e pacchiane semplificazioni provocanti quasi sempre polemiche e insulti. Pier Luigi Amata ha scritto un romanzo in cui i temi si rincorrono, non fanno il verso a nessuno, seguendo una sceneggiatura personale ricca di dialoghi alquanto probabili (è un pregio) fra personaggi che comprendono bene cosa sia l’amicizia maschile in quello stato carismatico, disperatamente forte ma a tratti imbelle, denominato adolescenza. Viaggi desiderati ma finiti male, parole dette talvolta senza ritegno ignorando più attraenti possibilità, correzioni di rotta, affetti e affiatamenti, si riflettono in queste pagine volte in alcuni brani a mostrare i movimenti d’amore mercenario così come Jasper l’immagina.

Ma tutto questo assomiglia maledettamente alla vita quando viene scritta – con parole centrate e, a dirla tutta, soddisfacenti. Scrivere è un atto di libertà, dovrebbe essere tenuto in buon conto, senza pallide reminiscenze e con eccellenti ondate di responsabilità. Amata manda in giro le soluzioni al suo privato questionario su quanto intenda per “passaggi d’età”. Si respira, inoltre, una certa aria d’incoraggiamento fisico: in fondo qui si tratta pur sempre di pugilato, di ring umidi di sudore e non soltanto di trame adescanti. E la giustizia prima o poi arriva, ci si accorge di aver vissuto molta della propria vita per giungere a quel punto lì: dove si sta frontali, e il peccato della vendetta appare ben poca cosa. In altri posti staziona il dolore, lo capisce il lettore che giungendo al termine del romanzo incontra i titoli di coda con una serie di “scene tagliate”. E un sorriso, probabilmente malinconico, all’improvviso viene a galla sul volto.