Philippe Boxho / Ah l’orrore

Philippe Boxho, La parola ai morti. Indagini di un medico legale, tr. di Rossella Monaco, Ponte alle Grazie, pp. 236, euro 18,00 stampa, euro 10,99 epub

Medico forense e affermato autore bestseller, a Philippe Boxho bastano poche pagine per smontare tutto ciò che pensavo di conoscere riguardo ai morti viventi: non gli zombi di George A. Romero o Lucio Fulci ma esseri umani in carne e ossa, trovati ogni giorno semicoscienti sul pavimento di casa e affidati al tecnico di medicina legale. Ancora vivi ma già infestati dalle larve di almeno tre diverse famiglie di mosche. I ditteri, spiega Boxho, sono i migliori alleati della scienza forense perché nutrendosi esclusivamente di cellule morte risultano indispensabili per la datazione di un cadavere. E se la dieta di milioni di mosche risulta il migliore viatico per il lavoro dei medici in tuta Tyvek, va detto che anche un milione di copie vendute in tutto il mondo da La parola ai morti risulta probabilmente la migliore garanzia per gli appassionati di CSI alla ricerca di un libro al tempo stesso serafico ma autorevole riguardo ai misteri e misfatti della professione forense.
La seconda cosa che si impara continuando la lettura, è infatti che le tute indossate dai protagonisti di CSI non sono affatto quelle regolamentari, in grado di trasformare anche David Caruso in un omino michelin, ma fasulli abiti di scena, che, se utilizzati nella realtà contaminerebbero all’istante la scena del crimine. Americani e francesi del resto scopriamo che anche qui si dividono in tutto o quasi, anche sul taglio – a “Y” invece che a croce – da applicare al cadavere nel corso dell’autopsia. L’autore, che opera nel pacioso Belgio francofono, senza i mezzi grandiosi del Fbi, ama raccontare le cose come stanno, senza abbellimenti, in base alla sua trentennale esperienza. Ad esempio, chiarendo che l’odore della carne salmistrata diventa molto presto insostenibile per chi sceglie di intraprendere la sua professione.

Del resto vi stupirete scoprendo quanti morti ammazzati o sospetti tali finiscono sul tavolo autoptico in una città piccola e tranquilla come Liegi! Dal cadavere di un marito, provatamente bruciato fino all’ultimo osso nella stufetta –  in seguito a un esperimento del nostro medico, eseguito tra l’incredulità degli inquirenti –  a quello della moglie annegata nella vasca che il consorte riesce quasi a far passare per morte naturale facendola franca.

Il climax del racconto viene raggiunto probabilmente quando Boxho decide di ripercorrere un centimetro alla volta il viaggio di una forchetta di plastica attraverso l’esofago della una vittima, con un tono di saputa comicità involontaria che per la verità aleggia sull’intero catalogo di macabre quotidianità snocciolate con dovizia di statistiche e annotazioni storiche. Apprendiamo così che in nove casi su dieci le impiccagioni risultano incomplete, perché l’aspirante suicida riesce quasi sempre suo malgrado a toccare a terra (per questa ragione alcuni scelgono di abbinare al cappio un piano B, come ad esempio una elettroesecuzione domestica) ma che andarsene all’altro mondo con i barbiturici è forse ancora più complicato. Che il veleno, lo strumento di morte storicamente favorito dalle omicide, è oggi praticamente caduto in disuso dopo i fasti del XVII secolo, grazie ai progressi della medicina forense nell’identificare la presenza di sostanze alla fine del XIX.

Questi progressi si possono sommariamente suddividere in tre filoni, andando indietro nel tempo: se a partire dagli anni ’80 i test genetici hanno rivoltato la scienza forense come un calzino, più o meno come era successo con i primi archivi di impronte digitali all’inizio del ’900, è vero però che non si è mai smesso di identificare i cadaveri anche in base alle ossa rotte o alle testimonianze dei dentisti. Ciò, in particolare, quando la combustione o la putrefazione avanzata cancellano ogni altro elemento rilevante per l’indagine autoptica. Se le amiche mosche forniscono infatti preziose indicazioni al medico forense, la putrefazione rappresenta all’opposto la sua nemesi. I suoi peggiori nemici, stando almeno a Boxho, restano comunque i paramedici del pronto intervento quando si accaniscono sul corpo di un individuo già trapassato, nel futile tentativo di rianimarlo, con il risultato di inquinare le prove e la fatidica scena del crimine. Ah l’orrore.